Studiosa da molti anni della famiglia e delle sue trasformazioni, Chiara Saraceno nel suo ultimo libro Coppie e famiglie (Feltrinelli 2012) dichiara di voler «sollevare un po’ il velo dell’ovvietà che cela la complessità della famiglia come costruzione pienamente umana». Il racconto della sociologa, docente in passato all’Università di Torino e presso il Centro di ricerca sociale di Berlino, affronta i mutamenti significativi dell’essere coppia e dell’essere genitori, superando quelle definizioni che ormai non trovano più corrispondenza nella realtà. Perché, sostiene Saraceno, se c’è un campo in cui l’umanità si è sbizzarrita a inventare norme, valori e forme di relazioni, è proprio quello della famiglia.
Professoressa Saraceno, partiamo dalla festa della famiglia naturale promossa dalla regione Veneto per l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale. È giusto parlare di famiglia naturale?
Non è mai stato giusto, perché non c’è niente di meno naturale della famiglia. Il che non vuol dire che è innaturale, certo. Ma la famiglia è una costruzione sociale, legale e normativa. Sono le norme che definiscono quali rapporti di sesso o di generazione sono familiari oppure no. E se noi guardiamo la famiglia da un punto di vista antropologico e storico, scopriamo che il modo in cui questo processo normativo è avvenuto è variato molto nel tempo e nello spazio. Ancora fino all’altro ieri, per esempio, si distingueva tra figli legittimi e figli naturali e qui il termine “naturale” vale meno di legittimo. Il contrario di quello che sostiene la Regione Veneto.
Lei parla di famiglia caleidoscopio, in cui le tessere sono le stesse – rapporti tra i sessi, generazioni, figli – ma che si combinano in maniera diversa a seconda del contesto.
Sì, un caleidoscopio, anche soggettivamente. Ricordo che ai miei studenti chiedevo di fare una lista con dentro chi consideravano famiglia. Scrivevano: una nonna sì e l’altra no, la compagna del padre, altre persone che magari non erano parenti, insomma la famiglia attraverso la colorazione degli affetti.
Il cambiamento della famiglia in Italia nella seconda metà del Novecento è avvenuto per merito delle donne?
Le donne, certo, ma anche grazie al movimento degli studenti, le lotte per i diritti civili. La famiglia è cambiata dentro l’eterosessualità del matrimonio proprio nei contenuti, negli obiettivi che ci si aspetta. Il motivo per cui oggi le persone omosessuali si sentono legittimate a considerarsi famiglia è fondato sulle trasformazioni della coppia eterosessuale. Nel momento in cui questa trova la sua giustificazione – parlo nell’Occidente democratico – nell’affettività reciproca, nella simmetrica uguaglianza, e non necessariamente nella riproduzione, che differenza c’è?
In Italia però le cosiddette famiglie Arcobaleno formate da persone omosessuali hanno una vita difficile…
Dal punto di vista soggettivo e sociale sono famiglie come tutte le altre. Anche dal punto di vista della parentela, perché ho incontrato dei nonni – pur non essendo biologici – molto fieri del loro status. Ma sulla carta queste non esistono come famiglie. Con la conseguenza che i bambini delle famiglie Arcobaleno hanno, dal punto di vista legale, una parentela molto ridotta, come accadeva ai figli naturali di un tempo.
Esiste una cesura tra la vita reale dei cittadini e le norme che la regolano?
In Italia sicuramente si. Tutto avviene con ritardo, come nel caso della riforma del diritto di famiglia del ’75. Allora lo Stato prese atto di un mutamento culturale dei rapporti tra uomo e donna e tra genitori e figli. In quest’ultimo caso, soprattutto, avvenne una rivoluzione copernicana, perché il diritto di famiglia in vigore fino a quel momento – il codice Rocco – imponeva una forte gerarchia e il figlio aveva solo doveri mentre i genitori avevano tutto il potere. Invece nel ’75 i figli diventano soggetti di diritto: una vera rivoluzione. Oggi i rapporti che le persone vivono come familiari, cioè asumendosene la responsabilità, si sono ulteriormente modificati: ci sono le convivenze e ci sono i figli naturali che sono uguali ai figli legittimi, senza più quella differenza che era rimasta nella riforma del ’75.