«Concludo in tutti i sensi»: una frase lapidaria. È definitivo: Pippo Civati lascia partito e Gruppo Parlamentare Pd. Pronto già il simbolo, e le idee sono chiare «ci sarà un uguale», confessa. Ha avuto molto tempo, per elaborarle, il leader della minoranza dem. L’hashtag ironico è #raggiungopastorino.
«La mia non è una rinuncia al Pd, alla sua storia. Ma togliendo la mia fiducia a Renzi, inevitabilmente esco dal Gruppo del Pd». Pronto al salto nel Gruppo Misto, che «tutto sommato assomiglia al Pd: c’è un po’ di tutto nel Gruppo misto, c’è un po’ di tutto nel Pd, dove oramai si candidano tutti, anche i fascisti», scherza ma non tanto, Civati, intervistato in esclusiva dalle telecamere di Left.
Alla base della scelta travagliata, molto attesa ma che allo stesso tempo non sorprende, una serie di mosse sempre più indigeribili del governo Renzi. Solo l’ultima delle quali l’imposizione della fiducia sull’Italicum. «Io non ho più fiducia in questo governo. E mi chiedo e chiedo anche ai colleghi del Partito democratico, se è possibile dopo una fiducia del genere – i cui precedenti si sono visti, secondo il leader lombardo, nei momenti peggiori della nostra storia: «con De Gasperi e Mussolini». Un appello ben preciso con una domanda ben precisa: «Come si fa ad avere ancora fiducia in questo governo?». L’abbiamo scritto nella copertina in uscita questo sabato: cosa deve fare ancora Matteo Renzi per far capire di che pasta è fatto?
Già il Jobs act e la riforma costituzionale sembravano essere state le gocce che avrebbero fatto traboccare il vaso. «Non è soltanto l’Italicum. Di episodi ne abbiamo visti diversi», e cita lo Sbloccaitalia, le dimissioni del Ministro Alfano, le riforme costituzionali: «La decisione finale l’ho maturata ascoltando gli insegnanti ieri. Mentre il ministro Giannini dichiarava che era uno sciopero politico, un ministro del Pd, insegnati del Pd manifestavano e dichiaravano che il Pd, non l’avrebbero più votato».
Civati di dubbi non ne ha da un pezzo: «come si fa a rimanere in questo Gruppo? Che senso ha rimanere in un governo che liquida le minoranze, le umilia… Sui giornali abbiamo letto parole come “li ho sterminati”, li ho asfaltati. Ecco, io spero che qualcuno voglia uscire dall’asfalto».
Una vera e propria chiamata alle armi, iniziata da tempo. Pronti anche gli interlocutori, infatti: «Almeno da un anno costruisco relazioni con la società, con la politica». E allora si parte da Maurizio Landini, con cui ha parlato stamattina, e Susanna Camusso che incontrerà domani, ma ci si aspetta che saranno svariate le figure che verranno attratte dal quarantenne con una precisa idea di sinistra in testa, alternativa al Partito di Renzi, «anche con un altro linguaggio: la sinistra non parla così da nessuna parte al mondo». Trai futuri compagni papabili, esponenti di Sel, di Rifondazione e i socialisti. Non i soliti noti, «mi interessano di più quelli che ancora non conosciamo», ammette, la cosiddetta maggioranza invisibile più volte raccontata sulle pagine di Left.
E poi ci sono i senatori della minoranza critica del Partito di Renzi, anche loro scalpitanti, e che spesse volte si sono trovati a condividere il disappunto di Civati nei confronti di modalità e contenuti politici del presidente del Consiglio. Numeri che potrebbero fare la differenza. E Civati lo dice a chiare lettere: «Anche al senato – dove la maggioranza è ben più risicata e deve ancora passare al vaglio la legge di riforma costituzionale – c’è qualcuno che farà la stessa cosa che ho fatto io». E dalla Camera, chi altro lo seguirà? «Non importa, intanto io esco. Poi vediamo cosa accade.» E a giugno, forse la Convention. Si parte. Finalmente.
Sul suo blog Civati pubblica un lungo post in cui spiega agli elettori Pd le ragioni del suo addio e conclude: «Questa non è solo una fine, è anche un inizio».
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