Avere una figlia di 8 anni con la Sindrome di Helsmoortel-Van der Aa di cui soffrono 400 persone nel mondo, di cui venti in Italia e non arrendersi. Il libro di Salvatore Savasta ci fa capire quanto sia importante investire nella ricerca sulle malattie rare, che le case farmaceutiche trascurano perché non produce profitto

È una malattia rara che impedisce il neuro sviluppo e si caratterizza con dimorfismi cranio facciali, disabilità intellettiva, spettro autistico, totale o parziale assenza di linguaggio. È la Sindrome di Helsmoortel Van der Aa, o ADNP, che prende il nome dal gene riconosciuto solo nel 2014. Sono 400 i casi nel mondo, 20 in Italia. I pazienti sono quasi tutti in età pediatrica e adolescenziale, il più vecchio è under 30. Trattandosi di una patologia di recente acquisizione i dati sono sicuramente in difetto, manca una letteratura scientifica di riferimento, gli studi sono agli esordi, la sperimentazione ha superato solo la fase animale. non ci sono prassi terapeutiche, centri clinici, percorsi individualizzati. È proprio l’esiguo numero di casi a scoraggiare investimenti in ricerca, farmaci, futuro. Un faro sulla malattia – e su tutte le patologie rare che riguardano bambini – lo ha acceso il fresco di stampa Il mostro sotto il letto (Giraldi Editore), di Salvatore Savasta, concepito come una lettera alla moglie Alessia. Nel testo l’autore racconta il rapporto con la figlia, Zaira, 8 anni, affetta da ADNP. Un discorso, il suo, estendibile a tutte le coppie costrette a convivere nella totale incertezza, la stessa che spesso le logora per il differente approccio alla malattia, alla sofferenza, al senso di impotenza che avanza e sovrasta. Perché quando si parla di malattie rare, come rileva Savasta, non si parla solo di chi ne è affetto, ma di chi ogni giorno si prende cura di chi ne è affetto. Una piccola grande popolazione.

Sono circa 10 mila le malattie rare, tra cui rientrano le ultra rare, con un’incidenza di meno di 1 caso ogni 50 mila persone, come l’ADNP. Perché è così difficile intercettare e destinare risorse per la ricerca? Lo abbiamo chiesto a Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare-OMaR. «Per portare un farmaco ai pazienti, anche quelli affetti da malattie comuni, servono anni di ricerca, sperimentazioni e iter approvativi complessi. Per le malattie rare ci sono degli ostacoli in più: bisogna prima di tutto comprendere bene come agisca la singola patologia e poi cercare un numero sufficiente di pazienti idonei alla sperimentazione di una potenziale terapia. Nonostante ciò la ricerca, in parte pubblica ma per lo più privata, quindi condotta dalle aziende farmaceutiche, ha già portato allo sviluppo di numerosi farmaci orfani», come vengono definiti quelli indicati per le malattie rare. Al 31 dicembre del 2022 in Europa ne risultavano approvati 139, un buon numero, tuttavia esiguo se raffrontato alle «migliaia di patologie rare prive di terapia. La ricerca dunque c’è – tiene a sottolineare Ciancaleoni Bartoli – e porta anche a risultati importanti, ma la strada è ancora lunga e occorre capire come incentivare ulteriormente gli sforzi della scienza nel campo delle malattie rare e, soprattutto, ultra-rare. Le terapie che abbiamo oggi sono arrivate negli ultimi 20 anni e se ciò è avvenuto lo si deve in buona parte al Regolamento Europeo sui Farmaci Orfani Regolamento CE n. 141/2000) che ha saputo incentivare le aziende dando facilitazioni burocratiche e garanzie senza cui sarebbe stato difficile affrontare questa sfida, costellata di difficoltà che si riflettono anche sul prezzo finale di questi medicinali. Non è semplice rendere questo sforzo sostenibile per la ricerca privata e, al tempo stesso, per un sistema sanitario come il nostro, dove – per fortuna – non ci sono meccanismi assicurativi che discriminano le persone in base al reddito ma in cui, di contro, bisogna cercare di far bastare le risorse per tutti i cittadini». Il cuore del problema è quello del prezzo e della redditività dei farmaci. Tradotto: il gioco non vale la candela per pochi pazienti e le terapie rimangono indietro. Una lentezza che contrasta con l’urgenza conoscitiva – non risolutiva – di genitori, come Salvatore e Alessia, che hanno avuto la diagnosi solo nel 2022, dopo anni di peregrinazioni per ambulatori e ospedali e dopo essersi trasferiti da Palermo a Pordenone per consentire a Zaira di essere seguita all’IRCCS Materno Infantile Burlo Garofalo di Trieste. Una diagnosi che li ha messi di fronte a una verità che hanno accettato in tempi diversi, con modalità diverse, con speranze diverse. Perché l’irreversibilità della malattia di chi si genera può creare divisioni, confusione di ruoli, può portare all’auto isolamento sociale, all’auto emarginazione. Savasta declina la solitudine, forse più protettiva della fiducia nella vita e nella scienza, un lusso che richiede energia e tempo. «Ora – le parole di Ciancaleoni Bartoli – si sta lavorando ad una revisione del Regolamento CE n. 141/2000 che vada in direzione di incentivare la ricerca sulle malattie ultra-rare, ma questa revisione deve compiere ancora molti passaggi ed è difficile dire se si riusciranno a produrre gli effetti sperati».

Approfondimenti sui farmaci orfani consultare il VII Rapporto OSSFOR

L’autrice: Camilla Ghedini è giornalista, scrittrice e docente a contratto al master di giornalismo della Alma Mater Bologna