«Dov’erano i sindacati?», chiedeva un mese fa dagli schermi televisivi Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio citava il caso di «Marta, 28 anni, precaria, che non può andare in maternità». “Dov’erano i sindacati?” è diventato una sorta di slogan che ha accompagnato l’uscita pubblica del Jobs act. Le reazioni non si sono fatte attendere. Sul filo dell’ironia nei social network ma soprattutto come mobilitazione. «Io non so dove era lei, Renzi, ma so dov’erano loro». Erika, precaria e sottopagata, racconta come quelli della Cgil l’abbiano aiutata «nel momento del bisogno». La ragazza, insieme a Irene e ad altri giovani, compare in un “selfie” all’interno di una campagna video promossa su facebook e twitter dalla Filcams Cgil, il sindacato dei lavoratori del turismo e dei servizi. L’hashtag è #martachallenge #martatelecanta, con il chiaro riferimento alla “Marta” evocata dal premier. Chiaro anche il contromessaggio dei giovani precari. Se il concetto di uguaglianza del Jobs act è ridurre le tutele a chi ce l’ha, no grazie. Erika, nel finale del suo video, si toglie la maglietta, si avvolge nella bandiera della Cgil e dice: «Mi spoglio dell’ideologia e mi vesto di diritti».
È la lotta alla precarietà – economica, culturale e sociale – che il 25 ottobre sfilerà in piazza San Giovanni a Roma. Con le tre parole chiave: “lavoro, dignità e uguaglianza”. Su questi concetti si basano le controproposte della Cgil alla legge delega del Jobs act e alla politica del governo sul mercato del lavoro. Dallo Statuto dei lavoratori e dalle indennità di disoccupazione estesi a tutti – precari e atipici – , alla qualità e stabilità del lavoro con l’abolizione dell’attuale selva di contratti. La Cgil chiede anche un Codice del lavoro frutto dell’incontro tra Parlamento e parti sociali e non attraverso una delega del governo. Una presa di posizione così netta contro la precarietà non c’era mai stata da parte della Cgil, un sindacato che tra i suoi iscritti (5 milioni e 686mila nel 2013) vede soprattutto i pensionati (circa 3 milioni) e gli attivi (2 milioni e 600mila), anche se, va detto, le adesioni nel terziario e nei servizi, le aree con meno tutele, sono le uniche a crescere (circa del 7 % per la Filcams).
La mobilitazione decisa dal direttivo nazionale il 27 settembre arriva dopo mesi di braccio di ferro tra il premier e il segretario Susanna Camusso. Il duello a distanza tra i due – talvolta con dichiarazioni piuttosto ruvide – lascia intravedere sullo sfondo temi essenziali per il futuro del Paese. Da una parte, Renzi vuole “liquidare” il ruolo del sindacato come corpo intermedio (l’ha detto esplicitamente), accusandolo di essere ideologico e ancorato al passato. Dall’altra, la Cgil rivendica la sua azione di tutela dei diritti dei lavoratori, soprattutto oggi che sono ancora più a rischio. E nel fare questo, il sindacato punta l’indice contro gli obiettivi del governo delle larghe intese, schiacciati su un pensiero economico proprio della destra. «Matteo Renzi come Margaret Thatcher», aveva detto Camusso a metà settembre, facendo infuriare Renzi. Quali che siano gli ispiratori del presidente del Consiglio, è un fatto però che il relatore al Senato del Jobs act sia stato Maurizio Sacconi (Ncd), già ministro sotto Berlusconi e autore nel 2009 di un libro bianco sul welfare concepito in un’ottica confessionale, da comprendere anche «il dono e la carità».