«E ora #Rutelli al Quirinale!», ha twittato il fake di Gianni Cuperlo subito dopo la nomina di Paolo Gentiloni a ministro degli Esteri. La polemica per la rottamazione arenata nel pantano delle correnti ha ripreso vigore con la designazione di un politico di lungo corso noto più per il filo diretto con Renzi che per le competenze internazionali. Del resto gli ex Margherita nel governo sono talmente tanti che già a settembre il Foglio titolava «Er governo Rutelli». Pochi gli ex Ds salvati, e quasi tutti di fede renziana. E se la lista dei “dinosauri” riciclati si allunga, non mancano i giovani rottamatori caduti in disgrazia.
Riciclati al governo
L’ultimo “rottamando” ripescato dal rottamatore è appunto il nuovo inquilino della Farnesina che vanta un curriculum politico risalente agli anni Novanta (senza contare la militanza nel Movimento studentesco di Mario Capanna). Già ministro delle Comunicazioni del governo Prodi, portavoce del sindaco Rutelli, assessore del Comune di Roma e presidente della Commissione di vigilanza Rai, Gentiloni è deputato dal 2001. Nel 2013 voleva candidarsi a sindaco di Roma ma è arrivato terzo, raccogliendo solo il 15 per cento. «Evidentemente porta bene essere battuti alle primarie», ha commentato Roberta Pinotti, anche lei assurta a ministra di Renzi dopo essersi piazzata terza alle consultazioni genovesi. A molti in effetti appare un paradosso che un uomo salito al potere con le primarie imbarchi tanti sconfitti delle consultazioni locali. Oltre alla fortuna di essersi salvata dalla rottamazione malgrado la carriera da “politica di professione”, in comune con Gentiloni Pinotti ha anche la scelta di salire sul carro del sindaco di Firenze. La sua folgorazione per il rottamatore, però, è arrivata solo alla vigilia delle primarie 2013, come per molti dei suoi colleghi di AreaDem: prima riteneva Renzi «un giovanotto irruente». Tra i non rottamati spicca ovviamente anche l’ex segretario del Pd Dario Franceschini: ex democristiano, ex popolare, prodiano, poi veltroniano, quindi bersaniano, infine lettiano e ora renziano, il leader di AreaDem è stato anche sottosegretario nei governi D’Alema e Amato. A suo tempo definito da Matteo «vice-disastro» di Walter Veltroni, l’attuale ministro dei Beni culturali nel maggio 2012 del sindaco di Firenze diceva: «Nel Pd ci sono troppi galli, convinti che il sole sorga quando cantano loro».
La folla di renziani della “seconda ora” nelle liste del rottamatore per l’Assemblea nazionale Pd aveva già creato qualche mal di pancia ai supporter della prima ora. Poi è stato evidente che nel governo dell’ex sindaco i franceschiniani la fanno da padroni, tanto che sui giornali hanno cominciato a far capolino titoli che evocano il ritorno della Balena bianca a Palazzo Chigi. L’ultimo censimento conta una decina di rutelliani nell’esecutivo: accanto ai ministri Franceschini e Gentiloni, ci sono i sottosegretari Lapo Pistelli, Giampiero Bocci, Antonello Giacomelli, Giancarlo Bressa, Pierpaolo Baretta, Luigi Bobba e lo spin doctor Filippo Sensi. E se il “giglio magico” di Renzi proviene sostanzialmente dalla Margherita, persino l’ex Dc Beppe Fioroni, deputato fin dal lontano 1996, ha il suo cadreghino: dai primi di ottobre è presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sul rapimento Moro. L’ex ministro all’Istruzione si è fatto vedere all’ultima Leopolda, ma ancora ai tempi dell’impallinamento di Franco Marini al Quirinale andava dicendo che Renzi doveva «collegare la lingua al cervello». Difficile non citare tra i “rottamandi” salvati l’ex Ds Marco Miniti, già vice ministro di D’Alema e Prodi, poi vicino a Veltroni, quindi rigorosamente renziano, riconfermato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per la Sicurezza all’indomani della staffetta con Enrico Letta. Non manca chi inserirebbe in questa lista tutti gli ex dalemiani promossi da Renzi, compresi, a dispetto dell’età, i giovani turchi.