«Conosco Roma come le mie tasche, anche più di Milano dove pur sono nata, e sento sotto ogni sua pietra il suo malessere». Franca Valeri, pungente novantaquattrenne, come la città una volta eterna sta stretta nei panni del presente.
Lo fa capire il prologo che ha scritto allo spettacolo-maratona che debutterà la prossima settimana al teatro Argentina, Ritratto di una Capitale, ventiquattro brevi pièce di autori diversi che fotografano, in modo realistico o immaginoso, luoghi e situazioni della città. Lo dice subito l’attrice, dopo aver letto in anteprima il testo al direttore del teatro, Antonio Calbi, che ha ideato questo appuntamento: «Roma è stata vittima della classe politica, prima i fascisti, poi i democristiani, poi Berlusconi e ora questi scalzacani del governo che si vedono in giro. Sono brutti, vestiti male. Occupano tutti i palazzi che hanno costruito altri nei secoli, Michelangelo, Bernini, i papi…
La vita pubblica moderna è una calamità per Roma. Strade chiuse, non si sa perché, quel vecchio cialtrone, Berlusconi, che prende palazzi che non gli spettano. Non ritrovo più la Roma che ho conosciuto negli anni Cinquanta e Sessanta».
Franca Valeri arrivò in città che ancora si chiamava Franca Maria Norsa, dopo la guerra, determinata a diventare attrice. Lo spirito e il coraggio non le mancavano: nel periodo oscuro dell’occupazione nazista aveva vissuto nascosta in case di fortuna, mentre il padre ebreo era fuggito in Svizzera. Ha raccontato più volte la gioia della Liberazione, e i rischi corsi, perché non riusciva più a trattenersi in casa, alle prime notizie, si era precipitata in strada nonostante i cecchini tedeschi ancora sparassero dai tetti. Si era fatta largo tra la folla, aveva applaudito l’arresto degli aguzzini della Gestapo, era arrivata fino a piazzale Loreto…
Quella spavalda voglia di scoprire, di agire, non l’ha mai abbandonata. Nel 1948 si presenta all’esame dell’Accademia d’arte drammatica, a Roma: «In commissione c’erano la Capodaglio, Orazio Costa, Silvio D’Amico. Io avevo come compagno Buazzelli. Gli altri allievi erano entusiasti: questa vince di sicuro, che gioia… Invece mi hanno bocciata. Loro disperati. Io contenta, perché ho pensato: sono convinta di essere una che farà carriera, perché perdere tre anni? E così è andata. Però Roma era magica. C’era poco traffico, c’erano tanti turisti, tanti stranieri, era bellissima, un tempo splendido. Chi vede Roma per la prima volta rimane incantato. Oggi è irriconoscibile».