Eigendorf, forte centrocampista della Ddr, fuggì all’Ovest ma finì nel mirino della Stasi. Morì in un incidente stradale. Ma poi si scoprì che fu un omicidio. Era l’83, in Bundesliga trionfò l’Amburgo di Ernst Happel. In Oberliga, come tutti gli anni, vinse la Dinamo Berlino.

Sabato 5 marzo 1983, mezzanotte circa. Lutz Eigendorf, ventisettenne centrocampista dell’Eintracht di Braunschweig (bassa classifica della Bundesliga) si schianta con la sua Alfa Romeo contro un albero di periferia. Morirà in ospedale quando è già lunedì 7 marzo. La polizia della Bassa Sassonia archivia il caso: guida in stato di ebbrezza. Troppo strano per uno abituato a bere solo birra in quantità moderate.

Qualche anno dopo, grazie all’apertura degli archivi segreti della vicina Ddr, Heribert Schwan, giornalista della tv tedesca, scopre un’altra verità. Lutz Eigendorf era nato nella Germania Est a Brandenburgo (70 chilometri dalla capitale) e cresciuto nel vivaio della Dinamo Berlino, squadra del ministero dell’Interno nonché giocattolo pericoloso nelle mani di Erich Mielke, il terribile capo della Stasi.

Eigendorf prometteva bene con le sue 100 presenze in campionato e con 3 reti nelle 6 partite giocate in Nazionale. Eppure l’ultimo giorno d’inverno del ’79, al termine di un’amichevole contro i cugini occidentali del Kaiserslautern, il ragazzo fece perdere le tracce aiutato da un taxi e dagli stessi dirigenti del club dell’Ovest i quali (consapevoli dell’anno di squalifica dopo la pronta denuncia all’Uefa da parte della Federazione di Berlino est ferita nell’orgoglio) avevano preparato al giocatore un contratto da due stagioni. L’appartamento di Zechliner Strasse, dove Eigendorf aveva lasciato moglie e figlia piccola, fu subito messo sotto controllo audio e video dalla Stasi stessa. La presenza degli uomini di Mielke era così premurosa e costante che la signora Gabrielle Eigendorf, nel giro di pochi mesi, ottenne il divorzio dal marito per sposare proprio un agente della polizia segreta.

Nell’estate dell’82, dopo 53 presenze e 7 reti con il Kaiserslautern, il centrocampista viene ceduto all’Eintracht di Braunschweig, primo club della storia ad aver sfoggiato lo sponsor sul petto: l’amaro Jagermeister. Il 5 marzo ’83, sul campo di casa arriva il Bochum. L’allenatore Uli Maslo, tuttavia, manda Eigendorf tra le riserve. Il primo tempo finisce 0-0 e le sostituzioni effettuate nella ripresa non producono risultati, anzi. Eigendorf rimane in panchina e il Bochum passa due volte in contropiede: 0-2. La sera stessa, il centrocampista dell’Est viene visto in un bar dove beve due birre innocenti.

Secondo le ricostruzioni di Heribert Schwan, autore del documentario Morte del traditore, Eigendorf avrebbe firmato la sua condanna due settimane prima con un’intervista televisiva in cui criticava sia il sistema di propaganda sportiva della Ddr sia la scarsa competitività raggiunta dal football nel suo Paese. Furono alcuni agenti della Stasi, inviati in trasferta da Mielke in persona, a sequestrare il calciatore all’uscita del bar e ad iniettargli una miscela di gas velenosi e di sonniferi difficili da rintracciare. Dopodiché lo misero alla guida dell’Alfa e provocato l’incidente conducendo un autocarro sulla corsia opposta con gli abbaglianti puntati.

Era l’83. In Bundesliga trionfò l’Amburgo di Ernst Happel, pronto a vincere anche la coppa dei Campioni. In Oberliga, come tutti gli anni, vinse la Dinamo Berlino: squadra che in Europa, chissà perché, non faceva paura a nessuno.