Amoreodio, opera prima di Cristian Scardigno, è ispirato ai fatti di Novi Ligure: il tragico duplice omicidio avvenuto in provincia di Alessandria nel febbraio 2001 che vide coinvolti due adolescenti di 15 e 16 anni che uccisero a coltellate la madre e il fratellino di lei e poi inscenarono un’aggressione per far ricadere la colpa su immigrati.
Bisogna ammettere che non solo i grandi film permettono di riflettere sul cinema e sul suo linguaggio. Vi riescono bene anche i film inconsistenti come questo.Ragionando in negativo possiamo meglio spiegare questa affermazione. E’ assente dal film la patologia della ragazza (o il dilemma sanità-malattia che investì l’aula oltre all’opinione pubblica); è assente o del tutto anacronistica la dinamica madre-figlia. È assente la rappresentazione della freddezza detta clinicamente «anaffettività»; è assente l’alienazione religiosa che fa da sfondo alla drammatica vicenda; è assente la sessualità fredda e meccanica che diventa violenza patologica. È assente la fatuità di quel nucleo familiare, è assente la provincia del nord normale e benestante, vero e proprio medioevo moderno (l’ambientazione pugliese stride oltre misura); è assente l’adolescenza nelle sue infinite sfumature anche laddove sono ridotte a una sola tonalità di grigio.
Quella apparente normalità, vero leit motiv dell’intera storia, non è minimamente indagata. E’presa dal suo autore come dato acquisito, senza che avverta la necessità di guardarvi dentro. E’ assente soprattutto la capacità dell’autore di pensare per immagini una vicenda così complessa; mancano, duole dirlo, gli strumenti di conoscenza, di studio e di approfondimento oltre al coraggio che gli avrebbero evitato di vedere il suo fim annoverato come ricostruzione di fatti con attori alla maniera di quelle che vediamo spesso nelle trasmissioni di cronaca nera in cui appunto, il pensiero è una presenza che non c’è.
Per tutto questo non vorrei attardarmi con un giudizio troppo tecnico sul film, sulla regia o sulla recitazione. Desta stupore il fatto che una tale vicenda non abbia sollecitato il regista ad indagare dinamiche più profonde. Dichiarando di essere rimasto colpito da quell’avvenimento ci si chiede alla fine cosa realmente di quella vicenda l’abbia colpito per arrivare a farne un film. Assente, al cinema è ciò che resta fuori dall’inquadratura, e si chiama fuori campo. Ma ciò che resta fuori campo al cinema può non essere assente e può infondere dimensionalità, luce, tempo, corpo alla scena proprio come se fosse uno zéfiro che vi soffia dentro e fa vivere l’immagine cinematografica. Questo venticello è il pensiero dell’autore, la sua realtà più profonda, la sua creatività, la sua intelligenza.
Anche senza scomodare autori come Antonioni, Kubrick, Bunuel o Hitchkock possiamo dire che attraverso l’uso geniale del fuori campo, l’invisibile entra nell’inquadratura. Purtroppo la parola composta che dà il titolo a questo film sbarra ogni possibilità che giunga aria nella camera oscura, per cui la materia non riesce mai ad animarsi e con essa i suoi protagonisti.