Il nuovo ministro degli Esteri è arrivato alla Farnesina in punta di piedi. Nel segno della continuità e della rassicurazione. Non avendo contatti nel mondo della diplomazia dovrà affidarsi ai funzionari, che lo preferiscono alla Mogherini.

Il suo primo pensiero l’ha dedicato ai due marò, proprio come aveva fatto nove mesi fa Federica Mogherini. Paolo Gentiloni arriva alla Farnesina in punta di piedi, nel segno della continuità e della rassicurazione. D’altronde non è difficile: i problemi internazionali restano sempre gli stessi, e la debolezza continua a immobilizzare la diplomazia italiana, anche se abbiamo spedito la nostra donna a Bruxelles.

Ovviamente lo status quo per chi ne fa parte è una garanzia e il passo felpato del nuovo ministro alla Farnesina non dispiace. Un funzionario del ministero ci dice: il nuovo capo sembra disponibile, umile, aperto. «Pensiamo che il rapporto sarà costruttivo». Non fa paura, Gentiloni, e anzi un bel gruppo di diplomatici lo preferisce a chi l’ha preceduto. Non avendo contatti nel mondo delle relazioni internazionali, il nuovo ministro dovrà affidarsi alla struttura della Farnesina molto più di quanto facesse Mogherini, che aveva portato con sé una squadra molto esterna e poco avvezza a rispettare i delicati equilibri interni al ministero.

Il nuovo titolare, invece, non pesta i piedi, è «tranquillo» come lo definisce un altro alto funzionario, ma anche “autorevole” e anche se non brilla per competenze internazionali – nella sua carriera non si è mai occupato di esteri – può raggiungere risultati grazie al suo “fiuto politico”. Se qualche diffidenza c’è, sostiene il diplomatico, dipende più che altro dal fatto che la Farnesina è fondamentalmente “di destra” e non ama mai troppo i ministri di centrosinistra. E ribadisce che la nomina è nel segno della continuità, e che le priorità resteranno le stesse: Europa, Libia, rapporti transatlantici.

Confermati, per ora, anche i ruoli di vertice, a partire dal capo di gabinetto Ettore Sequi, diplomatico navigatissimo in ambito internazionale che Federica Mogherini aveva voluto con sé sfilandolo dalla sua carriera nell’Unione europea, per la quale aveva rivestito anche il ruolo di rappresentante speciale in Afghanistan. Apprezzato nelle cancellerie di tutta Europa, Sequi era però un “esterno”, paracadutato dentro la Farnesina dopo anni di assenza insieme ad altri fedelissimi della Mogherini che non erano stati ben accolti dai ministeriali. La collaborazione tra i due staff non è andata benissimo e la Farnesina, tanto per cambiare, si è impantanata.

Anche tra chi ha lavorato con l’attuale miss Pesc c’è chi lo ammette: i risultati sono stati pochi. A giocare contro Mogherini c’è stato soprattutto il tempo, infatti già da prima dell’estate si parlava della sua candidatura alla Ue e fissare una strategia di lungo periodo era praticamente impossibile. C’è da aggiungere che, pur competente e preparata, la giovane ministra aveva le conoscenze teoriche ma poca esperienza politica e per recuperare si è infilata in un tourbillon di appuntamenti diplomatici, incontri con premier e ministri di mezzo mondo. Così si è fatta una ricca agenda che potrà sfruttare adesso come lady Pesc a Bruxelles, ma non ha messo mano a nessuna di quelle riforme di cui la struttura del ministero avrebbe tanto bisogno.

Governi troppo brevi e continui cambi di ministri (Bonino è restata in carica 10 mesi, Terzi un anno e quattro mesi) rendono qualsiasi strategia di lungo periodo impensabile e fanno perdere colpi all’Italia di fronte ai suoi rivali storici (Francia, Gran Bretagna e Germania), in un gioco di posizionamento tutto interno alla Ue.

l’intervista integrale su left in edicola da sabato 15 novembre