Tor Sapienza, Roma. Dopo l’assalto al centro per i rifugiati, parlano i minori costretti ad andare via: «La gente dice cose cattive». Gli operatori: «Sui disordini soffia anche l’estrema destra».

«Bumbamstick!». «Eh?». «Bumbamstick! Stavamo dormendo e abbiamo sentito queste botte sul centro. Bum! Bum!». Il suono che mima questo ragazzino è quello delle bombe carta e delle molotov lanciate sul centro d’accoglienza di via Giorgio Morandi. Sedici anni, un viaggio dal Bangladesh durato mesi per raggiungere l’Italia, mamma e papà lontani, condizioni disastrate nel Paese di provenienza e, soprattutto, una paura che sta diventando sempre più difficile da gestire.

Questi sono i minori che sono stati aggrediti nei giorni scorsi a Tor Sapienza, Roma. Generalmente, durante l’adolescenza, le scene più hardcore che un ragazzo si trova a vivere sono: 1) la bocciatura scolastica; 2) gli scappellotti dei genitori; 3) il divieto di usare il motorino. Situazioni diverse si trovano invece a vivere oggi i ragazzi stranieri, i “negri di merda”: «Erano centinaia di persone lì sotto, che ci dicevano di scendere e ci urlavano che ci volevano bruciare. Noi avevamo paura che volessero entrare e che ci avrebbero ammazzato. Tanti si sono sentiti male e si sono messi a piangere», raccontano. «Alcuni li abbiamo recuperati da dentro gli armadi – dice un’operatrice del centro – erano sconvolti e terrorizzati».

Nonostante siano poco più che bambini, oltre a essere precocemente oggetto di odio, questi ragazzi già lavorano. «Io ho la bancarella, lui lavora all’alimentari e lui al mercato. Usciamo la mattina presto e torniamo la sera tardi». «Molti di loro hanno un debito di viaggio – ci spiega l’operatrice – che sono costretti a ripagare.

Sono inglobati in un meccanismo di sfruttamento per cui sono costretti a lavorare anche quindici ore al giorno per pochi soldi, neanche il necessario per vivere dignitosamente». «Non sappiamo perché ce l’hanno con noi», dicono i ragazzi. «Noi usciamo la mattina presto e torniamo la sera. Dormiamo e il giorno dopo riandiamo a lavorare. Non abbiamo fatto male a nessuno».

Come quel signore congolese che neanche era ospite del centro, pestato a sangue davanti all’entrata del mercato. O come il sedicenne bengalese, picchiato alla fermata dell’autobus da un gruppo di ragazzi della zona e ancora oggi ricoverato in ospedale. Neanche loro avevano torto un capello ad anima viva. «Erano giorni che nei bar vicino a via Giorgio Morandi programmavano l’assalto al centro», continua l’operatrice. «Ed erano giorni che i minori erano picchiati da persone del quartiere. Chiaramente ce l’avevano anche con noi. “Brutte zecche, comunisti di merda, ce n’è anche per voi, ve bruciamo con loro”. Fortunatamente con noi si sono fermati alle parole, a differenza di quello che è successo con i minori».

l’articolo integrale su left in edicola da sabato 22 novembre 2014