«Amiamo viaggiare, vedere, scoprire. Per questo abbiamo iniziato un viaggio appassionante e pericoloso, difficile ma entusiasmante. Un viaggio verso ipotesi nuove di esistenza, un viaggio che possa dare alle idee, alle parole, ai gesti, libertà». Con questo slogan, nel 1994, associazioni come Arci e Libera lanciavano la prima Carovana antimafie. Erano passati due anni dalle stragi in cui avevano trovato la morte i giudici Falcone e Borsellino. E accadeva in Sicilia, terra di mafie e antimafie.
Da allora questa frase è stata stampata sui quaderni, pubblicata sul web, è diventata l’incipit con cui anno dopo anno la Carovana ha intrapreso il suo viaggio nelle regioni di tutta Italia e poi in Europa. A distanza di vent’anni è arrivato anche il riconoscimento internazionale: a Strasburgo il progetto – promosso, oltre che da Arci e Libera, da Avviso pubblico, Cgil Cisl e Uil – riceve il Premio Falcone, assegnato dall’associazione francese Justice et democratie in collaborazione con il Consiglio d’Europa.
Il premio è stato consegnato ad Alessandro Cobianchi, coordinatore della Carovana, in occasione del Forum mondiale della democrazia. I promotori se lo sono meritato, recita la motivazione, per l’impegno nel «riportare le voci di coloro che lavorano per lo Stato democratico di diritto e della giustizia sociale, ma anche per promuovere progetti concreti, incontrare le famiglie delle vittime di mafia e raccontare le modalità di riutilizzo dei beni confiscati». Strasburgo, una delle due “capitali” dell’Unione, è una tappa speciale per la Carovana che in questi giorni – assieme ai partner europei Ligue de l’enseignement, Parada e Inizjamed – gira per le strade di Francia per ricordare il tema della tratta degli esseri umani, un’«emergenza da non sottovalutare», dice Cobianchi.
«Il procuratore di Catania, Giovanni Salvi, spiegava che ogni viaggio frutta ai trafficanti un milione di euro. Ciascuno di questi viaggi è l’indotto di altri fenomeni criminali dai drammatici risvolti sociali: pensiamo al caporalato, allo sfruttamento delle badanti, della prostituzione, dei mendicanti. Siamo di fronte ad un vero e proprio dominio mafioso che l’Italia, il Sud e l’Europa rischiano di leggere invece a compartimenti stagni come questioni di sicurezza, immigrazione, economia».
A chi, come il giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno Gianluigi De Vito, si chiede se il premio sia «ossigeno ma poi finisce», Alessandro Cobianchi risponde: «È vero, il premio passa e le mafie restano. Un po’ come le manifestazioni contro le mafie, caricano e fanno sentire meno soli. Ma serve qualcosa in più. Proprio da Contromafie, qualche giorno fa, è giunto il grido d’allarme del fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, che ha messo in guardia dal rilassamento che si avverte alla fine di un ventennio importante, dal 1992 a oggi.
Un ventennio che ora ci impone di chiederci se sia esaurita la “carica propulsiva” di tante modalità nate proprio in quegli anni. Dobbiamo rafforzare i nostri strumenti, in particolar modo a livello europeo. Credo che l’Italia abbia una normativa in tema di contrasto alle mafie, certamente migliorabile, ma che resta un faro nel Continente, in particolare per quanto concerne la confisca dei beni e l’individuazione del reato di stampo mafioso.
Abbiamo un compito epocale che è quello di chiudere i conti con l’eredità del ventennio precedente, valorizzandola. Gli oltre 800 caduti innocenti per mano di mafia, nella sola Italia, ci impongono di costruire, senza superficialità e ipocrisie, una società realmente alternativa alle mafie. Un cambio di prospettiva, in primis culturale, che deve partire dalla società per arrivare alla politica e non viceversa. La cittadinanza organizzata ha un ruolo decisivo ma rischia di perdere un treno importante se non trasforma le buone intenzioni in fatti concreti».
* Marzia Papagna è responsabile Comunicazione Arci Puglia