Magistrati e poliziotti di tutta Europa hanno fallito. Di più: sono stati sconfitti da un sistema corrotto che dovevano sanzionare e correggere. È successo in Kosovo, il luogo dove l’Unione europea ha concentrato il 90 per cento dei suoi sforzi in politica estera.
La missione Eulex, partita sei anni fa per Pristina col compito di reprimere crimini gravi e migliorare il sistema giudiziario kosovaro, è stata travolta da uno scandalo che distrugge la sua già fragilissima reputazione. Il procuratore Maria Bamieh, in forze nella missione dal 2008, ha denunciato due gravi casi di corruzione interni a Eulex che coinvolgerebbero il giudice italiano Francesco Florit. Le sue accuse sono apparse sul giornale albanese Koha Ditore e nonostante una serie di incongruenze sono state prese molto sul serio dalla nuova Rappresentante della politica estera Federica Mogherini, che ha già ordinato un’indagine sul caso a Jean Paul Jacqué, noto professore francese di diritto, già consigliere speciale al Consiglio della Ue.
Dimostrare l’innocenza dei magistrati internazionali è vitale per la Unione, altrimenti cadrebbe l’ultimo stecchino che tiene in piedi una missione già svuotata da una clamorosa assenza di risultati. L’Europa, che ci ha investito un miliardo di euro, con quest’ultima pugnalata dovrebbe riconoscere la sua totale incapacità di fare politica estera.
Maria Bamieh sostiene di essere stata allontanata da Eulex perché voleva indagare su casi di corruzione interni alla missione. I casi di cui parla sono due: Francesco Florit si sarebbe piegato a pressioni esterne per la scarcerazione di un funzionario del ministero della Salute di nome Ilja Tolaj e – caso ancor più grave – avrebbe accettato una mazzetta di 300mila euro per scagionare tre poliziotti kosovari accusati di cinque omicidi. Le accuse di Bamieh hanno avuto ampia eco sui giornali britannici, soprattutto perché lei afferma di essere in possesso di intercettazioni e testimonianze dirette e di essere vittima di un sistema che condanna tutti i whistleblower, una parola che nel mondo anglosassone va tanto di moda e che indica coloro che hanno il coraggio di denunciare le mele marce all’interno del proprio habitat.
Ma Francesco Florit, oggi in forza al Tribunale di Udine, ha tutta un’altra versione dei fatti: «Maria Bamieh non è nuova a questi comportamenti. Quindici anni fa ha chiuso il suo rapporto con la Procura generale britannica lanciando le stesse accuse: di essere stata discriminata e mobbizzata. Sostanzialmente è una persona priva di equilibrio». E sulle accuse contro di lui cosa ha da dire Florit? «Sono entrambe assurde. Nel primo caso la Bamieh dice di essere in possesso di un’intercettazione tra l’indagato Ilja Tolaj e un certo Ejup Kamberi che assicurava al detenuto (in possesso di un cellulare grazie all’“elasticità” del sistema carcerario kosovaro) di poterlo aiutare in virtù della sua amicizia con me. Ma quale amicizia? Kamberi è venuto a trovarmi nel mio ufficio presentandosi come professore universitario e dicendo che mi voleva come docente per un suo corso. Al quinto incontro mi disse che sua moglie era amica della moglie di Tolaj, e che quest’ultima si chiedeva perché il marito fosse ancora in cella nonostante lei avesse pagato 50mila euro di cauzione. Appena citò il caso lo cacciai dalla stanza. Fortunatamente avevo con me un testimone e redassi lo stesso giorno la relazione sui fatti avvenuti che mandai alla Bamieh, titolare dell’inchiesta». Florit ci mostra la sua relazione, datata 28 giugno 2012 e controfirmata dal suo assistente. «Le dirò di più», aggiunge, «la stessa Bamieh a quei tempi chiese il rinvio a giudizio di Kamberi per “millantato credito” ai miei danni! Come fa oggi ad accusare me di aver complottato con lui?».
Il secondo caso in cui sarebbe coinvolto il magistrato, però, è quello più grave. «Si trattava di 6 poliziotti deviati in guerra contro una banda di criminali. I 6 hanno messo 4 chili di tritolo nel ristorante del boss avversario uccidendo due passanti. In più hanno ucciso 3 persone che minacciavano di testimoniare contro di loro. Siamo riusciti a incriminarne 3 e io ne ho condannati due a 63 anni in due distinti processi. Tanto per far capire il livello di tensione che si respira in Kosovo, le dico che il capo del penitenziario dove erano custoditi si rifiutò di inviarli in tribunale sostenendo che gli altri 3 poliziotti della banda li avrebbero probabilmente scortati, uccidendo loro o il giudice stesso. Per 25 udienze la Corte si è recata nel loro carcere e se uno dei tre non è stato condannato è perché non eravamo in possesso di prove, come riconobbe la stessa Bamieh suggerendo di cambiare l’imputazione. Ora lei mi accusa di aver chiesto una mazzetta di 300mila euro da riscuotere in “comode rate” da 10mila euro l’anno! Quale garanzia avrei avuto del loro pagamento? Tralasciando il banale fatto che, di quei tre, la Corte ne ha condannati due».
Sulle accuse di Bamieh non è solo il giudice Florit a dimostrarsi perplesso. Gli esperti di affari kosovari preferiscono concentrarsi sul completo fallimento di Eulex piuttosto che su singole accuse di corruzione, che pure ritengono sintomatiche di come (non) funziona la missione europea. «Non credo molto alle accuse della procuratrice, ma la cosa grave è che sono plausibili», commenta Andrea Lorenzo Capussela, che sta scrivendo un libro sulla sue esperienza in Kosovo, dove ha lavorato per anni nell’Agenzia per le privatizzazioni. «È plausibile, cioè, che in una missione con controlli così deboli come Eulex si siano verificati casi di corruzione. Il comportamento della Bamieh però mi lascia perplesso. In 6 anni di lavoro nell’unità di crimini finanziari ha trovato solo due casi sui quali vale la pena indagare? La sua selezione mi pare interessata e non escludo che li abbia denunciati per distogliere l’attenzione dal suo operato. In particolare c’è un gravissimo caso di privatizzazione su cui io stesso le avevo fornito materiale e sul quale lei ha deciso di colpire solo i pesci piccoli. Si trattava di un terreno pubblico che doveva essere venduto a privati, invece il governo è arrivato ad autoespropriarselo per poterlo trasferire – non so a che termini – alla American University, un’istituzione dove studiano i figli dell’élite. In quest’operazione il governo ha violato numerose leggi e io a quei tempi ho mandato le carte a Eulex. Ma nessun giudice ha dato seguito alle indagini. La Bamieh se ne è interessata solo 3 anni dopo, nel marzo del 2014, chiedendomi di visionare i documenti. L’operazione coinvolgeva due ministri, il presidente dell’università americana e alcuni dirigenti dell’Agenzia di privatizzazione. Lei che fa? Se la prende solo con i funzionari dell’agenzia.
Tornando alle accuse a Florit, mi sembra poco credibile che l’italiano abbia preso tangenti “a rate” per assolvere un poliziotto e condannare due dei suoi compari. Condannare Florit per corruzione servirebbe proprio per chiedere la revisione del processo. La Bamieh sostiene che Eulex abbia svolto un’indagine interna e abbia archiviato il caso per insabbiarlo, ma questo sembrerebbe uno dei pochi casi in cui la missione ha fatto bene a chiudere subito l’indagine interna». È la portavoce di Eulex Dragana Nikolic Solomon a chiarirci lo stato dell’opera: «Abbiamo istituito una task force per condurre quest’inchiesta mesi prima che fossero pubblicate queste accuse. La materia è stata presa in carico e la task force sta continuando a lavorare. Finché l’inchiesta sarà in corso vale la presunzione di innocenza, che è la pietra miliare di qualsiasi sistema di diritto».
«Più dell’operato di questa task force bisogna guardare all’operato di Eulex nel suo complesso», insiste Capussela, «perché si tratta di un vero disastro: 6 anni di lavoro, un miliardo di euro spesi, 3.000 persone che hanno prestato la loro esperienza in Kosovo e cioè circa il triplo di quelle impiegate in tutte le altre 11 missioni esterne della Ue messe insieme. Eppure i reati gravi che Eulex avrebbe dovuto perseguire sono rimasti impuniti. L’élite politica ed economica del Kosovo continua largamente a coincidere con quella criminale». L’immane sforzo dell’Europa è servito solo ad agevolare la trasformazione del Kosovo in uno Stato mafia. E questo spiegherebbe perché Eulex non gode di buona fama a Pristina, dove Bamieh viene trattata come un nuovo eroe nazionale. Le accuse del procuratore sono viste come il grimaldello per scardinare la missione Ue, che molti kosovari ritengono complice dei criminali al potere.
E Bamieh non esita a infiammare i cuori dichiarando ai giornali che «i nostri soldi stanno andando in questa missione e la maggior parte del personale, nonostante lavori part time, si prende lo stipendio da impiegato a tempo pieno. Scompaiono il giovedì o il venerdì mattina, volano a casa e ritornano il martedì». Ma mentre Bamieh gioca a fare la grillina, Capussela sottolinea il fallimento più grande di Eulex: «Doveva reprimere i crimini di guerra o contro l’umanità, e invece ha processato solo i ladri di polli. I veri corrotti sono rimasti al loro posto». Gli studiosi dei Balcani confermano: gli uomini al potere sono spesso gli stessi che si sono macchiati delle peggiori nefandezze. Gianfranco Gallo, un altro magistrato che ha lavorato in Kosovo, ha dichiarato ad esempio che «esistono fortissimi sospetti che il primo ministro Hashim Thaçi sia stato coinvolto nel traffico d’organi di prigionieri serbi uccisi durante la guerra. Eulex ha istituito una task force per investigare, ma al suo vertice è stato nominato un americano. Le indagini sono state condotte con molta calma e rilassatezza».
E Capussela ci racconta un caso di asservimento di cui lui è stato testimone. «Eulex è complice del sistema politico kosovaro e lo dimostra la vicenda del governatore della Banca centrale Hashim Rexhepi. I giudici Ue lo hanno arrestato sulla base di lettere anonime, roba che neanche l’inquisizione! Le missive furono verosimilmente inviate dall’entourage di qualche dirigente politico che voleva fare fuori un governatore indesiderato. Rexhepi è stato assolto ma ha passato 4 mesi in prigione e il Parlamento l’ha rimosso dal suo incarico».
Di fronte alle accuse di accondiscendenza, però, Eulex insorge. Dragana Nikolic Solomon rivendica risultati significativi: «Dal 2008 abbiamo emesso 500 verdetti, di cui 375 coinvolgono il crimine organizzato, crimini di guerra e corruzione». Ma su 500 verdetti, sostiene Capussela, solo 270 sono penali e nella maggior parte dei casi si tratta di assoluzioni. La portavoce Ue invece sostiene che «i verdetti coinvolgono anche personaggi di alto livello: giudici, funzionari di polizia, parlamentari. Eulex ha incrinato la cultura di impunità che regnava in Kosovo. E ha condotto 438 operazioni per trovare persone scomparse indentificando i resti di 359 individui».
Purtroppo, però, sono pochi i commentatori disposti a difendere l’operato di Eulex. La missione tornerà a casa tra un anno e mezzo e ha già visto una forte riduzione di budget e organico. Difficile che riesca a raggiungere ora quegli obiettivi che non ha raggiunto in 6 anni. «Difendere la missione sostenendo che le difficoltà ambientali erano enormi», conclude Capussela, «ha poco senso: è proprio perché era difficile perseguire i delinquenti in Kosovo che l’Europa ha mandato una sua missione e ha investito così tanti soldi». In Kosovo è mancata la determinazione politica ad agire, forse perché colpire il crimine significa colpire un establishment su cui si regge un’indipendenza appesa con gli spilli, in uno Stato che non è nemmeno riconosciuto da tutti i membri della Ue. Ora i vertici dell’Unione sono cambiati e a capo della diplomazia europea c’è un’italiana – Federica Mogherini – che ha deciso di affidare l’ingrato compito di guidare Eulex a un altro italiano, Gabriele Meucci, già ambasciatore in Montenegro. La sua è una missione kamikaze: pochissime le possibilità di ottenere risultati, altissima la probabilità di caricarsi sulle spalle un bilancio fallimentare. Viva l’Italia.