“Così non va!”, per usare le parole che accompagneranno lo sciopero generale del prossimo 12 dicembre. Così non va una legge di Stabilità che non contiene le misure, possibili e necessarie, in grado di dare una scossa all’economia partendo dalla centralità del lavoro. E non va un Jobs act che, molto attento alle pretese di Confindustria, riduce i diritti e le tutele delle lavoratrici e dei lavoratori. Questi sono due dei motivi per i quali insieme alla Uil, dopo lo straordinario successo della manifestazione di Roma del 25 ottobre, saremo ancora nelle piazze per lo sciopero generale.
Siamo in un momento di pesante recrudescenza della crisi economica e sociale che attanaglia il Paese da oltre sei anni, ha prodotto oltre 6,3 miliardi di ore di cassa integrazione, ha determinato un tasso di disoccupazione passato di record in record, raggiungendo il picco del 13,2%, con una disoccupazione giovanile al 43,3% e sempre più fuori controllo; e ha prodotto un esercito di disoccupati pari a circa 3,5 milioni di persone. Numeri che sottendono un disagio sociale fortissimo e che sono il prodotto delle non scelte, oltre che delle scelte sbagliate, di questo governo. È per questo che, dando continuità alla nostra mobilitazione, saremo in piazza. Rispetto a una retorica di governo che assume la parola “cambiamento” come magicamente positiva, senza riflettere sulla effettiva direzione di marcia che le politiche messe in campo determinano, Cgil e Uil indicano una via, una prospettiva precisa, un orizzonte per un vero cambiamento. Con la forza delle nostre proposte e delle nostre ragioni: perché lo sciopero generale non è un atto di sola protesta ma anche, e soprattutto, di proposta, affinché in questo Paese ci sia un effettivo cambio di verso che si traduca in un miglioramento generale delle condizioni delle persone.
Lo straordinario successo della manifestazione del 25 ottobre, insieme a una mobilitazione continua, il più delle volte unitaria, che ha scandito passaggi cruciali come la manifestazione del pubblico impiego, dei pensionati e dei metalmeccanici, poi dei lavoratori dei call center, per arrivare a quella degli edili e del settore agroalimentare, sono il segno di un fronte che si sta allargando. Lungo questo solco continueremo la nostra iniziativa, cercando di allargare ancora di più la partecipazione. A differenza di quanti, infatti, hanno scientemente cercato di isolarci, noi non siamo mai dell’idea di escludere qualcuno perché la nostra storia ci insegna il valore e l’importanza dell’unità.
È un principio che ci dà forza e che conferma come, nell’indicare una prospettiva possibile e concreta di vero cambiamento, non ci si possa abbandonare alla rassegnazione ma, al contrario, si debba stare in campo, alimentando le iniziative per impedire che a sbagli si sommino altri errori.
I lavoratori e le lavoratrici, i pensionati e le pensionate di questo Paese rivendicano un cambiamento, ed è per questo che la Cgil, insieme alla Uil, criticando le scelte del governo sulla legge di Stabilità, sul Jobs act, sulla Pubblica amministrazione e, più in generale, sulle scelte economiche, propone interventi specifici per creare lavoro attraverso un deciso cambio della politica economica, a partire dall’adozione di un piano straordinario per l’occupazione, che si finanzi attraverso un intervento sui profitti e sulle rendite, e che passi attraverso l’attuazione di investimenti pubblici e privati. Questo è un punto centrale della nostra proposta, che trae valore anche dall’analisi della manovra di bilancio che, ancora una volta, non coglie il nodo della crisi.
Per fare tutto questo, e veniamo al Jobs act, dobbiamo sovvertire un paradigma: i diritti vanno estesi, le tutele vanno universalizzate. Il futuro del Paese è nei diritti, non nella loro regressione. Dobbiamo mettere al centro i lavoratori, prenderci cura di loro. Solo attraverso il rispetto della loro dignità, solo con uno Statuto che valga per tutti i lavoratori, possiamo interrompere la caduta di un Paese precipitato in una drammatica spirale di crisi. Rivendichiamo dunque politiche contro la precarietà: chiediamo la cancellazione delle circa quaranta forme contrattuali oggi esistenti, per dare un senso positivo al contratto a tutele crescenti e sollecitiamo un rafforzamento ed estensione dei contratti di solidarietà. Su questi punti, su questa piattaforma, continueremo la nostra iniziativa.
Un percorso che non si esaurisce con lo sciopero del 12 dicembre ma che continuerà in particolare per quanto riguarda la legge delega sul lavoro, accompagnando l’iter di approvazione dei decreti delegati. Con grande forza e intelligenza, senza arretrare, articolando la nostra azione: basterebbe citare gli “scioperi alla rovescia” che abbiamo messo in campo in questi giorni per dimostrare quanto vogliamo bene a questo nostro Paese e quanto teniamo al suo futuro. Si tratta di giovani, lavoratori e pensionati che lottano impegnandosi a fare cose socialmente utili, dalle iniziative per riparare i danni del dissesto idrogeologico all’apertura straordinaria di musei, all’incontro tra arte e lavoro, ad iniziative rivolte ai bambini; un esempio di fantasia, coraggio e disponibilità al servizio di un’idea di futuro più giusto e solidale.
La Cgil vuole il cambiamento, quello vero: le politiche economiche improntate al liberismo e all’austerità vanno sostituite da politiche che investano sulla qualità del lavoro e il rilancio dell’occupazione (a partire da quella giovanile), sulla ricerca e la formazione, stimolando la ripresa dei consumi attraverso il sostegno dei redditi da lavoro e da pensione e, quindi, della domanda interna e allargando diritti e tutele, come sola via per offrire una prospettiva. È il solo cambiamento possibile, quello che davvero serve.
*responsabile Organizzazione Cgil nazionale