All’inizio c’era solo Greenpeace e furono loro, per primi, a sottolineare la fragilità degli ecosistemi predati dall’uomo, sensibilizzando le coscienze dei cittadini di tutto il mondo. Erano gli anni 70 e il movimento ambientalista stava muovendo i suoi primi, faticosissimi, passi concreti. Oggi tutto è cambiato e i movimenti per la tutela ambientale si sono fatti più aggressivi, organizzano azioni clamorose per imporsi all’attenzione dei media.
Una nuova organizzazione, nata di recente, ha deciso di coinvolgere in prima persona i cittadini, in un’azione congiunta con le autorità governative, nella difesa dell’ecosistema marino. Questo è il manifesto programmatico di “The Black Fish”, fondata nel 2010 ad Amsterdam dal trentunenne olandese Wietse van der Werf e già attiva in buona parte dell’Europa con una rete di “citizen inspector network”.
“The Black Fish” è già pronta a operare anche nel nostro Paese, creando una vera e propria quinta colonna ambientalista. Di recente ha firmato un protocollo d’intesa con la Guardia costiera italiana – per il tramite della Capitaneria di Porto AMS di Messina – che sancisce la volontà comune di cooperare per la difesa dalla pesca illegale che sta martoriando il Mar Mediterraneo. Con l’obiettivo, nel prossimo futuro, di sottoporre la questione al governo italiano.
Mister van der Werf, com’è nata “The Black Fish”?
È nata quattro anni fa con l’intento di avere un maggiore coinvolgimento dei cittadini sul territorio europeo per contrastare l’overfishing (ovvero le pratiche di pesca intensiva, ndr). Ultimamente abbiamo focalizzato la nostra attività sul contrasto alla pesca illegale, ci battiamo per il rispetto delle norme già esistenti e per il rispetto del mare. The Black Fish non punta alla divulgazione, piuttosto vuole supportare l’attività di controllo e repressione già svolta dalle autorità. Crediamo molto nella formazione dei citizen inspectors che devono svolgere investigazioni nei porti e nei mercati, al fine di raccogliere prove degli illeciti.
Perché avete scelto di muovervi nel Mar Mediterraneo?
The Black Fish, nata ad Amsterdam nel 2010, si è allargata molto rapidamente; da subito ci siamo resi conto che il problema della pesca illegale è molto serio nel Mar Mediterraneo, a causa dell’uso di reti derivanti (bandite dalle Nazioni Unite già dal 1992, ndr), della dinamite e dello sforamento delle quote previste per la pesca del tonno rosso, con il conseguente declino della sua popolazione. Il Mar Mediterraneo è importante perché numerosissime specie vi si riproducono: per questo non possiamo far finta di nulla e voltarci dall’altra parte.
In cosa consiste il citizen inspector network?
È importante che il cittadino comune entri in contatto diretto con i frutti perversi della pesca illegale e le sue conseguenze dirette. Il citizen inspector, recandosi nei porti e nei mercati ittici, può trovarsi sotto gli occhi le prove concrete di attività di pesca illecita, come l’utilizzo di sistemi di pesca non consentiti o, più facilmente, trovare sul mercato o persino nel proprio piatto al ristorante esemplari di specie protette o magari sottomisura. La dichiarazione di intenti sottoscritta con l’Autorità portuale di Messina è la dimostrazione dell’efficacia di questo sistema.
Ma un comune cittadino come fa a diventare citizen inspector?
La passione e la sensibilità al tema sono i fattori determinanti. Dopo aver compilato l’application, online sul nostro sito (theblackfish.org), il candidato-ispettore nel corso di due settimane verrà istruito mediante corsi transnazionali, gestiti dai trainer veterani dell’associazione. Il training si concluderà con un esame, necessario per dimostrare d’aver acquisito il bagaglio nozionistico minimo ma soprattutto la giusta attitudine. Infine The Black Fish invierà il neo citizen inspector sul campo per svolgere investigazioni sotto copertura. L’obiettivo è quello di formare almeno 1.600 ispettori nei prossimi cinque anni.
Ma come raccolgono le prove i citizen inspector?
Dopo aver ricevuto la segnalazione del citizen inspector mediante un’applicazione dedicata sul proprio smartphone, l’associazione riceve i dati – sotto forma di video e foto georeferenziate – e dopo averli analizzati, valuta caso per caso come procedere, approfondendo le indagini o mettendosi immediatamente in contatto con le autorità locali.
Fin dove si spingerà “the Black Fish” per la protezione del mare?
Stiamo sfruttando gli oceani oltre ogni limite e se continuerà così nell’arco di quarant’anni al massimo gli oceani saranno vuoti. Dobbiamo essere molto ambiziosi. Noi siamo pronti per essere presenti in mare aperto, nei porti, nei mercati come nelle aule giudiziarie o a livello politico, a Bruxelles. Questa è una battaglia che dobbiamo assolutamente vincere, non ci sono altre opzioni. Il mare ci ha dato la vita, è arrivato il momento di restituirgli qualcosa».