L’ultima nota del Fidelio di Beethoven cade nel silenzio, Barenboim posa la bacchetta, scatta un applauso misurato eppure caloroso. Vi sembrerà naturale, essendo la fatidica “prima” della Scala di Milano, se non fosse che il sipario cala a centinaia di chilometri di distanza da quel battito di mani che cantanti e direttore non sentiranno mai. Prodigi della tecnologia: è la lirica trasmessa in diretta via satellite in oltre cento sale cinematografiche rispondendo al progetto partito nel 2006 “La stagione live Microcinema” e realizzato con la Rai.
In soldoni, come accade in altri Paesi, insieme al balletto e da un po’ al rock l’opera si concede su grande schermo e a prezzi più popolari. Salvo rari inciampi tecnici (il 7 dicembre 2012 in molti cinema la trasmissione cadde alla scena conclusiva e cruciale di un Don Giovanni scaligero), le immagini viaggiano ad alta risoluzione e il pubblico accorre: le tre dirette dal Metropolitan di New York di questo autunno hanno richiamato in 80 sale 7.800 persone (Le nozze di Figaro), 9mila (la Carmen), 9.200 (Il Barbiere di Siviglia). La “prima” milanese resta dura da battere: l’anno scorso Traviata attirò 30mila spettatori. Al momento in cui scriviamo, i dati per il Fidelio mancano.
In un multisala fiorentino, con un biglietto pagato 12 euro, lo spettatore medio di domenica 7 veleggia poco sotto i 60 anni. Corrisponde a quello della lirica live fino a un certo punto perché diversi teatri italiani stanno gradualmente ottenendo risultati nell’acclimatare i ragazzi all’opera. Tutti vestiti informalmente, ma qualche ingrediente della ritualità resta come attesta un episodio: calzanti interviste registrate agli artisti colmano il lungo intervallo, una signora chiacchiera al telefonino e un signore la apostrofa infuriato perché vada fuori. Comunque l’esperienza avvicina alla tv più che al cinema: le inquadrature di primi piani mostrano in tutta la loro fisicità gli occhi sgranati del soprano, la smorfia del tenore, il ghigno e la saliva del malvagio, il sudore dell’eroe. Fossimo a teatro non ce ne accorgeremmo.
Nel cinema la ricezione sonora è molto buona quando il volume è basso, quando sale da alcune poltrone avvertono qualche distorsione. Alla sua prima volta un quattordicenne, Amedeo, confida: «Fa un bell’effetto, si sente bene e mi piace molto vedere i cantanti così vicini». Anche per il padre Enrico è un esordio e introduce un confronto solo in apparenza lontano: «Mancherà l’atmosfera elettrizzante del teatro, però è un po’ come il calcio in televisione: possiamo apprezzare particolari che altrimenti non vedremmo». Altri spettatori lasciano intuire perché l’iniziativa sta attecchendo. Eleonora Negri: «Potrei mai andare alla “prima” della Scala? E apprezzo molto che nell’intervallo la Rai non ci rifili interviste sceme a signore in piume di struzzo ma faccia parlare gli artisti». «È una bella finestra sul rito – concorda Anna Meo – Sulla distanza ravvicinata delle telecamere distinguerei: stavolta la regia e il trucco dei cantanti lo permettevano, altre volte non è gradevole vedere il sudore che si squaglia sul viso». Maria Alberti si proclama una aficionada delle “prime” milanesi su grande schermo «altrimenti riservate a un pubblico esclusivo».
«L’opera al cinema invece che in diretta tv o su youtube coinvolge di più, mi pare dia più senso civile e collettivo allo spettacolo», concorda Andrea Aleardi. «Introduce però un germe pericoloso – fa da controcanto Anna – Poiché il numero di spettatori è indiscutibilmente maggiore, si rischia che la diretta vada a scapito dello spettacolo dal vivo». Teme insomma quanto è accaduto al calcio, ovvero un inchinarsi alle esigenze e allo strapotere televisivo. I numeri in effetti sono evidenti: la società Microcinema dichiara un balzo del 93% dei biglietti dal 2012 al 2013, «conferma una forte crescita» dal 2013 al 2014 e a fine stagione 2014-15 spera «di superare i 150mila spettatori con un Box Office complessivo di 1,3 milioni di euro». Anche se l’ingrediente essenziale resta quello: la musica dal vivo.