Per una volta, l’Europa ha avuto un cuore e una testa; e li ha trovati a Parigi, non nelle nebbie dei Paesi Bassi o nelle gelide banche di Berlino. Liberté, liberté chérie: parola tanto amata da spazzare via per un giorno la paura e far ritrovare il senso di che cosa significa essere europei. Libertà di opinione, di stampa e di manifestazione, libertà di religione e di criticare la religione: conquiste di secoli di errori e di violenza, di guerre di religione rispetto alle quali quello che sta accadendo nel mondo islamico è ben poca cosa.
E se fosse la volta buona, se finalmente la costruzione europea ritrovasse la strada perduta? I sogni sono necessari se si vuole disperdere il grumo di paure e di odio che cerca di penetrare nel tessuto quotidiano della nostra società. Soffiando sul fuoco del sospetto e della paura si possono costruire grandi carriere politiche. In Italia c’è chi ci vuole persuadere che ci sono milioni di islamici pronti a tagliarci la gola, che il nemico sta sul nostro stesso pianerottolo. Ebbene, almeno per un giorno questa gente ha dovuto starsene ai margini della vita collettiva. Ma li ritroveremo subito: siedono in Parlamento, hanno messo insieme un bel pacchetto di voti, dispongono di potenti veicoli di propaganda. Ci vogliono persuadere che solo la purezza di sangue, solo la chiusura delle porte di casa possono salvarci.
Ed ecco, immancabili, dalle colonne del Corrierone, gli appelli alla rinascita di una religione civica, alla quale naturalmente è presupposto l’appoggio della Chiesa: e gli attacchi a chi oggi, al vertice della Chiesa dice e fa cose dissonanti dai loro desideri. Riscopriamo così quello che abbiamo sempre saputo: i ritardi italiani, le contraddizioni di chi inneggia alla libertà “alla francese” ma ne resta lontanissimo. Qui di religione ce n’è una sola. Agli altri, quelli che vengono da fuori, è imposta nelle nostre scuole una brodaglia catechistica a senso unico; se vogliono riunirsi per pregare debbono contentarsi di qualche garage in affitto. E l’eccidio di Charlie Hebdo si tradurrà per loro in altre umiliazioni.
Nei giorni scorsi abbiamo sentito parlare molto di religione, poco di politica, meno ancora di diritti umani. Pochi hanno provato a immaginare la condizione di spirito con cui i milioni di musulmani che riempiono le nostre nazioni europee hanno ascoltato e vissuto le notizie dell’attentato contro Charlie Hebdo. Eppure c’è ancora fra di noi chi ha nella memoria personale o familiare frammenti di ricordi e di immagini della condizione degli emigranti italiani negli Stati Uniti allo scoppio della seconda guerra mondiale. C’erano tra loro molti esuli politici; e molti ebrei esuli dall’Italia per le leggi razziali. Erano fuggiti dall’Italia in cerca di libertà – di religione, di idee,di lavoro. A partire dalla dichiarazione di guerra del 1941 vennero considerati nella categoria di enemy alien, come “nemici interni” divennero sospetti, persero il lavoro, furono messi in campi. E chi si ricorda che dalla plebe disprezzata e sfruttata emigrata dall’Italia e dalle condizioni dei ghetti dove furono costretti a vivere nacquero sì tanti ottimi cittadini americani ma nacquero anche criminali e bande di mafiosi ? Di questo dovremmo ricordarci, oggi che l’Europa che conosciamo è il Paese abitato da milioni di musulmani che hanno come e più dei cittadini di antica data un interesse permanente alla pace e alla crescita del benessere e dei diritti.
Perché i diritti esistono solo se sono di tutti: altrimenti sono privilegi. Noi non siamo in guerra contro la religione musulmana. Abbiamo di fronte la minaccia di un pugno di terroristi e la propaganda di bande di assassini che cercano la radicalizzazione dei conflitti e si servono della religione sfruttando gli errori e i crimini dell’Occidente. è così che nuovi gruppi di potere si sono insediati in territori devastati da decenni di guerre fomentate e condotte dal nostro Occidente. Le armi che usano sono quelle ricevute dagli Stati Uniti che gliele fornirono per far combattere da terzi le loro guerre, da quella afgana contro l’Unione Sovietica in poi, per il petrolio e per l’egemonia mondiale.
Per fanatizzare le masse hanno a disposizione la leva della religione: e l’Europa sa o dovrebbe sapere quanto sangue sia stato versato e quanta violenza abbia partorito la nostra religione prima che si levasse la voce di Voltaire, prima che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino irradiasse da Parigi luce nuova sulla società europea. Non basterà una giornata come quella parigina dell’11 gennaio 2015 a cambiare le cose. Ma è già tanto che la risposta europea all’attentato di quattro terroristi antisemiti sia stata quella dell’immensa folla che ha sfilato per le vie di Parigi sotto il segno e la parola d’ordine della libertà.
I nostri guai sono cominciati a partire da un’altra domenica, quella del 16 settembre 2001 quando George Bush annunziò al mondo: «Questa crociata, questa guerra al terrorismo durerà molto». Oggi, se l’Europa ridiventasse finalmente una realtà politica e non solo bancaria, potrebbe essere arrivato il momento di dichiarare che non abbiamo bisogno di crociate, perché la guerra al terrorismo si combatte con gli strumenti della cultura e della libertà: per tutti, anche per gli islamici che sono tra noi.