Quarantamila rapimenti solo nel 2014. Un business da un miliardo di dollari. A guadagnarci non solo i terroristi. Ma anche le compagnie assicurative.

«Sotto le bombe faremo più affari». È la battuta che il Guardian attribuisce a un dirigente di Hiscox, la società del comparto sicurezza che assicura contro i rapimenti, garantendo un rimborso del riscatto pagato. Con sede alle Bermuda – per immaginabili motivi fiscali – Hiscox si appoggia al gruppo londinese Lloyd’s e gestisce polizze a livello globale per diversi miliardi di euro, registrando una crescita annua del 15-20%. Dopo il 2011, anno di disastri ambientali e rivolte nel mondo arabo, la società vive un momento di crisi: troppi premi da rimborsare ai clienti con attività in zone che fino a poco prima erano considerate sicure.

Ma il dissesto è relativo e Hiscox, come molte compagnie, approfitta dell’instabilità politica per forgiare la strategia di “incoraggiare il coraggio”. In altre parole: andate pure nei posti pericolosi, tanto ci siamo noi. La vicenda di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo ha portato sulle prime pagine la questione delle polizze assicurative. Ma il business dei rapimenti internazionali è un mostro dalle molte teste.

CROWDFUNDING PER TERRORISTI

L’idea che i riscatti siano la principale fonte di guadagno di al Qaeda e Isis non dice tutta la verità: il portafoglio dei terroristi è diversificato. Secondo un’inchiesta del New York Times, i riscatti hanno fatto incassare ad Al Qaeda 125 milioni di dollari fra 2007 e 2013, metà dei quali solo nel 2013. Il dipartimento del Tesoro statunitense ha parlato invece, per lo stesso periodo, di 165 milioni.

A beneficiarne, soprattutto Aqmi e Aqpa, movimenti affiliati di al Qaeda nel Maghreb islamico e nella Penisola Araba e, in parte, Tahrik i-Taliban in Pakistan. Quando Isis si è affacciato sulla scena mondiale, a fine 2013, poteva dunque contare su parte di questi fondi. Ma ha presto avuto accesso ad altre risorse: pozzi petroliferi, vendita di beni artistici, tassazione ed estorsioni, hanno portato il budget del gruppo – secondo il ricercatore australiano Adam Dolnik – a 2 miliardi di dollari. Incrociando le fonti, si può ipotizzare che Isis guadagni 2-3 milioni al giorno dall’estrazione di greggio e 1 milione in media dal pagamento dei riscatti. Una cifra comunque considerevole e più alta di ogni altra organizzazione analoga del passato.

Pagare o non pagare, quindi? È ancora il New York Times a stilare una classifica dei principali Paesi che hanno versato riscatti ad al Qaeda: Francia, Qatar, Oman, Svizzera, Spagna e Austria. Nonostante le risoluzioni delle Nazioni Unite post-11 settembre, afferma il Times, gli europei continuano a finanziare il terrorismo. Le stime, però, sono più complesse, a tratti oscure. Il quotidiano Independent sosteneva nel 2010 che il giro d’affari annuale dei riscatti fosse di 1 miliardo di dollari, altre stime oscillano fra i 500 milioni e il miliardo e mezzo. I dati, molto probabilmente, sono arrotondati per difetto, visto che la gran parte dei rapimenti non viene denunciata alle autorità. Secondo Catlin, una società privata di analisi dei rischi, nel 2014 sono stati circa 40mila i rapimenti a scopo estorsivo nel mondo. Numero che include tutti i sequestri di persona, legati a diversi tipi di criminalità. Il triste primato se lo aggiudica il Messico, patria dei rapimenti “express”, ovvero rapidi, gestiti dal narcotraffico. Lo seguono India, Pakistan, Iraq, Nigeria, Libia e Afghanistan. In Italia – va evidenziato – sono oltre 1.000 i sequestri di persona denunciati nel 2013, alcuni dei quali operati dalla criminalità nazionale nei confronti di stranieri.

QUANDO IL RISCATTO È POLITICO

Fra i 40mila rapiti del 2014 si contano anche molti stranieri in visita, presi di mira come buoni investimenti in termini economici e, per il terrorismo internazionale, di visibilità politica. «I sequestri con finalità di terrorismo e presunte finalità politiche, hanno intenti ricattatori nei confronti delle istituzioni, non delle famiglie delle vittime», spiega l’avvocato Rosario Di Legami, esperto di criminalità economica e amministratore di beni confiscati alle mafie. «Le richieste includono spesso il ritiro di truppe e altre forme di concessioni, come il rilascio di prigionieri».

I riscatti, insomma, vengono chiesti agli Stati e non alle famiglie. A questo punto, la distinzione è fra i Paesi che pagano e quelli che non lo fanno. O, meglio, che dichiarano di non pagare ma poi lo fanno, coperti dal segreto di Stato e da clausole di riservatezza fatte firmare a tutti i soggetti coinvolti. Ricostruzioni giornalistiche fanno pensare che i governi di Italia, Francia, Spagna e Germania paghino attraverso compagnie private, a differenza di Danimarca e Olanda che, pur non pagando, lascerebbero ai privati la libertà di farlo.

A rigor di logica, quindi, gruppi come Isis e al Qaeda dovrebbero rapire soprattutto cittadini di questi Paesi, per poi rilasciarli appena pagata la somma richiesta, che si aggira in media intorno ai 2 milioni di euro. Ma non è necessariamente così: Hervé Gourdel, francese in viaggio in Algeria, era stato ucciso nel settembre 2014 da un gruppo “simpatizzante” di Isis, mentre poco prima il giornalista americano Peter Theo Curtis era stato rilasciato dopo quasi due anni di prigionia in Siria, sfuggendo al destino crudele dei colleghi James Foley e Steven Sotloff.

John Cantlie, giornalista inglese rapito con Foley, è stato invece tenuto in vita e usato dal Califfato per fare pressioni sul governo di Cameron. Le richieste economiche si mescolano alle rivendicazioni politiche. Le cifre richieste per alcuni rapiti sono altissime: 130 milioni di dollari per Foley e 200 per i due ostaggi giapponesi rapiti di recente. Numeri che fanno pensare ad atti simbolici più che a pure estorsioni economiche.

Usa e Gran Bretagna, alla testa della coalizione contro il terrorismo, hanno risposto a queste rivendicazioni con la politica delle “zero concessioni”. Eppure nel 2012, durante un discorso alla think thank Chatham House, il sottosegretario per il Terrorismo e l’Intelligence del governo Obama, David Cohen, ha dichiarato che, pur attenendosi alle “zero concessioni”, «alcuni riscatti possano essere pagati». A Londra, poi, sono nate le principali compagnie assicurative contro i rapimenti, come la già citata Hiscox, che garantiscono un rimborso del riscatto pagato senza che vi sia necessariamente un coinvolgimento delle istituzioni. Un sistema che potrebbe aggirare la politica ufficiale di Downing Street e di altri governi.

POLIZZE SOFISTICATE

A beneficiare del sistema dei riscatti non sono solamente i gruppi terroristici, ma anche i gruppi assicurativi e gli intermediari come Hiscox, Iaab, Nya e Catlin. «Abbiamo assistito a una crescita esponenziale del volume d’affari e del costo delle polizze», spiega Cesare Bidoli, manager di Allianz. Hiscox da sola registra 250 milioni di dollari di ricavi netti nel settore, mentre assicurarsi oggi costa fino a dieci volte di più che nel 2009, partendo dai 10mila euro annui per raggiungere i 1.500 euro al giorno a persona.

Come funzionano e cosa offrono queste polizze? Tecnicamente chiamate K&R, ovvero kidnap and ransom (rapimento e riscatto), le polizze assicurano singoli cittadini con buone disponibilità e soprattutto aziende impegnate in zone critiche, dal trasporto marittimo nel golfo di Aden o di Guinea all’estrazione petrolifera in Libia, Nigeria e Iraq. A lanciarle è stata la Lloyd’s di Londra, sull’onda del rapimento del figlio di Charles Lindbergh nel 1932, ma il perfezionamento del prodotto è avvenuto in Italia, agli albori degli anni di piombo.

l’articolo integrale su left in edicola da sabato 31 gennaio 2015