Alessio Spataro racconta Alejandro Finisterre, l’inventore del biliardino.

«Ma no, “passetto” vale!», esclamo quando Alessio Spataro – matita conosciuta dai lettori di Left – mi fa questa rivelazione tremenda. Passetto vale in tutti i Paesi del mondo eccetto che in Italia. Racconta, Spataro, del suo Biliardino, romanzo a fumetti che uscirà in primavera per la Bao publishing, la stessa di ZeroCalcare.

«Passetto non vale! E neppure girella», è stato il mantra all’inizio di ogni partita, per diverse generazioni di giocatori. Passetto è quando la pallina viene accostata da una sagoma all’altra nella medesima stecca senza prima farla sbattere alla sponda. Girella, invece, era una cosa da “femmine”: consiste nel girare vorticosamente la manopola in attesa che, prima o poi, la pallina incocci in un pupazzetto. «Faccio parte di quella metà di giocatori che, scientificamente, può essere definita schiappa. E forse per me è affascinante proprio perché raramente vinco», spiega il fumettista catanese, trapiantato a Roma, trentanovenne, ormai esperto di storia, teoria, tattiche e anche teorico della questione.

Ad esempio non crede che il biliardino sia uno sport, tanto meno olimpico, come le varie federazioni tentano di accreditare, sebbene sia a metà strada tra «il biliardo e il ping pong, ma solo quest’ultimo è uno sport». Quello che lo avvince è il fatto che sia un gioco in cui sono importanti quelli che lo praticano e quelli che lo guardano giocare finché i ruoli non si invertono. Ma non crediate che Biliardino sia la storia del dispositivo noto anche come calcio balilla.

Si tratta della vita del suo inventore, Alejandro Finisterre, al secolo Alexandre Campos Ramirez. Finisterre (dal paese galiziano in cui nacque) è lo pseudonimo dietro cui si cela nel terzo dei suoi cinque esili. «Succede alla fine della II guerra mondiale, quando Ramirez-Finisterre diserta dall’avamposto marocchino della legione straniera spagnola dov’era in servizio militare coatto.

Era scampato alla repressione franchista, forse, solo perché aveva passato il tempo della guerra civile in convalescenza, dopo essere stato ferito a Madrid dov’era emigrato dopo il fallimento del padre». A diciannove anni, nel ’38, scappa dunque in Francia tra gli stessi esuli di cui scriverà Almudena Grandes in Ines e l’allegria. Alessio si imbatte in Finisterre nel febbraio di otto anni fa, quando legge su internet della sua morte e intuisce subito lo spessore del personaggio. Ma in quel periodo ha in testa Zona del silenzio, la sua prima graphic novel dedicata al caso di Federico Aldrovandi, dentro cui non rinuncia a inserire la scena di una sfida al biliardino in un noto locale del Pigneto di Roma, il Fanfulla.

«È lo sguardo malinconico dei piccoli mutilati dalla guerra civile, mentre osservano i loro coetanei che giocano a pallone nel cortile della Colonia Puig, che ispira ad Alejandro il biliardino. Se c’è un tennis da tavolo, ci sarà anche un futbol da mesa». La Colonia è un ricovero per ragazzi feriti dal piombo franchista a una trentina di chilometri da Barcellona. Con lui ci sono anche un militante giovanissimo del Poum e un falegname anarchico basco che procurerà i materiali per il prototipo, più simile al biliardino contemporaneo di altri tentativi sperimentati in altri luoghi d’Europa.

«L’unica eccezione sono i piedi dei giocatori – spiega Spataro – sono due, a differenza di oggi, proprio per fare meglio il “passetto”. Una mossa che solo in Italia è proibitissima ma non nei tornei internazionali dove peraltro l’Italia non vince mai». Per la cronaca i più forti bisogna cercarli in Belgio, Germania e negli States. «A Finisterre non piaceva il gioco italiano, così “veloce e barbaro”, lui propendeva per un gioco più mentale. Come il biliardo, appunto».

Non esistono libri su di lui se non una vecchissima autobiografia stampata ai tempi dell’esilio messicano, quando era appena cinquantenne. Alessio è andato fino alla Colonia Puig a cercare le tracce di Finisterre, ha spulciato biblioteche, collezioni di giornali, musei, sentito testimoni. La sua vita è piena di avventura e mistero, perfetta per quest’oggetto narrativo non fiction, per dirla alla maniera di Wu Ming. Il biliardino di Finisterre si chiamerà “Futbolin”, lo brevetta a Barcellona ma ormai la guerra civile butta male: i repubblicani sono divisi, si sparano addosso e i fascisti avanzano.

Alejandro alza i tacchi e in dieci giorni di fuga arriva a piedi a Perpignan, oltre i Pirenei ma la copia del brevetto s’è infracidata con la pioggia. Un imprenditore colluso col franchismo trafuga il brevetto di Finisterre e inizia a produrlo. Finisterre, ormai in clandestinità, lascia ovunque conti non pagati finché non viene arrestato ancora e, dopo una misteriosa evasione, torna in Francia a fare il critico di teatro per il giornale degli esuli, poi salpa per l’America Latina.

Ormai siamo a ridosso degli anni 50. Finisterre sarà giornalista in Ecuador poi, finalmente, fabbricante di biliardini e giocattoli nel Guatemala democratico di Jacobo Arbenz Guzmán. Quel governo non aveva riconosciuto il franchismo e ospitava un’ambasciata della Repubblica spagnola in esilio. E’ un paese accogliente. Così Finisterre può giocare con un giovane argentino che s’era unito ai ribelli cubani, Che Guevara, che – pare – fosse una schiappa proprio come Spataro a differenza di Hilda Gadea, sua moglie, l’unica che riusciva a battere Alejandro.

Ma nel ’54 la Cia rovescia il governo e insedia un regime. Ancora i fascisti, ancora un arresto. Per lui sembra la fine, sta per essere deportato in Spagna dove lo aspetta la garrota. Ma… Qui mi faccio forza e supplico Alessio di interrompere il racconto, vorrei godermi il fumetto quando arriverà in libreria. Per convincermi che non mi ha rovinato la lettura, Spataro compila la lista di alcuni dei personaggi che hanno incrociato e conosciuto l’inventore del futbolin e che compaiono nella storia: poeti come Pablo Neruda e Leon Felipe, Max Aub, Cocteau, Sartre e Camus proprio nel momento della loro lite, Simone de Beauvoir, l’equivoca figura di Vittorio Vidali, Manu Chao e suo padre Ramon. L’ultima casa di Finisterre, a Zamora, in Castiglia, è un pozzo di tesori della letteratura spagnola. Ma c’è un mistero anche lì.