Nel mondo di adesso, raccontare di Emma Bonino vuol dire tratteggiare le gesta di un’eroina medievale come Trotula, Ildegarda, Eloisa. Donne immense, di una coerenza granitica, spaventosa. Un avamposto umano di laicità ed intelligenza: in questi tempi grigi in cui tutto converge e si confonde per confondere, lei spende il suo tempo a distinguere. Ha passato la vita a farlo e a promuovere diritti civili e libertà.
Radicale da sempre, eurodeputata, deputata, senatrice, Commissaria europeo, ministro per il commercio internazionale e per le politiche europee nel Governo Prodi II, vicepresidente del Senato, ministro degli Esteri nel governo Letta, membro del Comitato esecutivo dell’International Crisis Group, ideatrice e promotrice della Corte penale internazionale, professoressa emerita all’Università americana del Cairo, delegata per l’Italia all’Onu per la moratoria sulla pena di morte, fondatrice di Non c’è pace senza giustizia per l’abolizione delle mutilazioni genitali femminili, madre della “Dichiarazione di Sana’a”, nel 2011 Newsweek l’ha inclusa tra le “150 donne che muovono il mondo”.
E lei il mondo lo ha tutto in testa, difficile costringerla in Italia. Le sue battaglie sono state tra le nostre più belle, e con lei parliamo di laicità. Perché neanche un mese fa, ignara o forse no, di tutto quello che sarebbe accaduto nei giorni successivi ha lanciato un appello quanto mai vitale: “Laici di tutto il mondo unitevi”.
Ciao Emma, come stai?
Io benino.
Ti va di rispondere a qualche domanda?
Sì, basta che non mi “incianfrugli” sulla politica italiana [elezione del nuovo presidente della Repubblica] che mi è ancora tutto poco chiaro. Forse voi avete capito, io no. Una sola considerazione allora: ancora un uomo e ancora un cattolico. Aspetterei qualche giorno per capire bene, non so come sia uscito Sergio Mattarella. So per certo che i candidati desiderati erano altri.
Passiamo al vero oggetto della nostra chiacchierata, pochi giorni prima dei terribili fatti di Parigi hai lanciato un appello ai laici di tutto il mondo nel tentativo di incoraggiare la costruzione di un dialogo interlaico, come mai?
La mia valutazione dei fatti di Parigi è che non siano molto diversi da quelli di Madrid, 200 morti e non so quanti feriti alla stazione Atocha, o da quelli di Londra. Quello che ci ostiniamo a non capire, perché il contrario ci farebbe comodo, è che questi gruppi di fanatici non rimangono sempre uguali, cambiano, mutano, hanno agende loro, sono più mobili degli Stati. Sono andati in Siria, poi in Iraq, si sono spostati nello Yemen. Hanno una capacità di usare le tecniche di comunicazione molto forte. L’Isis oggi, Al-Qaeda ieri, hanno la stessa matrice culturale, che è wahabita, salafita, da cui hanno ricevuto anche sostegni finanziari. Le loro vittime peraltro sono soprattutto musulmani, poi ogni tanto aggiungono dei gesti più o meno eclatanti che a noi ci emozionano molto, ma il numero delle vittime è molto più alto tra le minoranze cristiane o musulmane o tra i musulmani da loro ritenuti corrotti. Persino un editoriale sul Financial Times finalmente sostiene che bisogna cominciare a parlare francamente all’Arabia Saudita. Non possiamo far finta che siano impegnati davvero nella lotta al terrorismo e che non c’entrino nulla con questi gruppi di estremisti, perché la verità è che sono complici sia dal punto di vista della matrice filosofica e culturale sia sul versante del sostegno economico. In più, a complicare le cose, mi pare evidente che allo scontro tradizionale tra sunniti e sciiti si è aggiunta una guerra fratricida all’interno della stessa famiglia sunnita, e quindi abbiamo da una parte le monarchie del Golfo (Arabia Saudita ed Emirati) e dall’altra i Fratelli musulmani, sostenuti dalla Turchia e, in modo più altalenante, dal Qatar. Questo è, e noi non possiamo fare tantissimo, capisco che è frustrante e sarebbe più rassicurante dire “andremo, faremo, li distruggeremo…” però è illusorio e sbagliato. Nell’immediato dovremo certamente prendere dei provvedimenti securitari.
Non temi una deriva securitaria?
Sì certo, è l’unica cosa che sappiamo fare. È una coazione a ripetere, noi (gli americani e noi dietro) sappiamo fare solo la guerra. Francamente, come si uccide un dittatore noi lo sappiamo molto bene. Conosciamo anche modi più raffinati: colpi di Stato, interventi dell’esercito, questo lo sappiamo fare. Di disastri ce ne siamo intestati parecchi. Mentre non sappiamo che fare il giorno dopo.
La tua reazione è all’opposto, ti appelli ad una possibile unione dei laici. Vuoi parlare di che fare il “giorno dopo”?
Il problema è che non vogliamo leggere tutto questo groviglio di scontri interni e di interessi. Continuiamo a non vedere e a pensare stupidamente che da una parte ci siano i buoni, l’Arabia Saudita e i wahabiti, e dall’altra i cattivi, i Fratelli musulmani, l’Iran e gli sciiti.
Perché dei laici dovrebbero fare meglio?
Parlo per me, anche se ci sono analisti superesperti che sostengono quello che dico anche io. Penso di conoscerli un po’ meglio, ho investito tempo ed energie per capire, studiare, viaggiare, leggere cose meno scontate, a parlare non solo con i regimi ma con circoli intellettuali, gente comune, ho frequentato università per conoscere i diversi tipi di società. Invece la visione generale e generalizzata no, rimane sempre la stessa: sciiti e Fratelli musulmani cattivissimi e gli altri buonissimi. Caricaci poi Israele e le politche di Netanyhau e andiamo avanti così. E per evitare equivoci, sono filoisraeliana da sempre, e sostengo con forza l’idea di Israele e Palestina democratiche nell’Unione europea… ma questo non vuol dire accettare in modo acritico le proposte politiche di Netanyhau and co. Senza dubbio ci sono buchi nella nostra rete di sicurezza da affrontare ma sono peggiori, ti assicuro, i “buchi di conoscenza”. Basta che ti dica che nelle ambasciate occidentali non si sa l’arabo, non lo sanno parlare, non lo studiano, non leggono i giornali locali, non si informano.
Sicurezza, grovigli economici, diplomazia cieca, politica incapace, che senso ha allora parlare di laicità?
Perché va approcciato il fatto che le religioni sono tante; che una cosa è il peccato, altra è il reato, e che al di là di qualsiasi credo individuale deve essere chiaro che le varie fedi non possono essere la base delle istituzioni e delle leggi. La laicità è il presupposto dell’accettazione dell’altro. È proprio il presupposto, l’a-b-c: sei cittadino come me ma ti organizzi la vita personale e privata in modo diverso da me. Nel nostro Paese con qualche fatica e neanche compiutamente l’abbiamo imparato, anche se poi si sono inventati “i valori” non negoziabili… Quando io ero giovane erano semplicemente diritti civili, ora li chiamano “valori” e li cavalcano malamente.