È travolto da tanta e improvvisa attenzione Giuseppe Cimarosa, il giovane parente del latitante di Cosa nostra Matteo Messina Denaro che ha infiammato la “Leopolda siciliana” disconoscendo pubblicamente il boss e la sua famiglia davanti all’applauso commosso di un migliaio di persone. Travolto come si viene travolti in questo Paese quando il marketing antimafioso si butta su un nuovo simbolo ma Giuseppe ha molto di più da dire, al di là degli stereotipi o i falsi miti. «Non è normale – mi dice- tutta questa attenzione all’improvviso, no. Anche se non so esattamente quale sia la causa. Posso dire però che per fortuna la “Leopolda” ha reso pubblica una vicenda che sembrava appesa nel nulla. Io ci ho partecipato per caso senza nessuno spirito di appartenenza politica perché non è questo che voglio fare nella vita».
Hai fatto più politica con un piccolo intervento tu che molti dei politici presenti, però…
Sì. Ma diciamo che la mia è stata politica molto “spirituale”. La definirei così. Non sapevo nemmeno esattamente cose fosse una “Leopolda” ma il mio unico pensiero era ed è fare sentire la mia voce a più gente possibile.
E ci sei riuscito.
È da un anno che ci provo. All’inizio ho contattato le cosiddette “associazioni antimafia” che mi giravano attorno a Castelvetrano (il luogo dove Giuseppe vive con la sua famiglia nonché paese natale di Matteo Messina Denaro, ndr) e dintorni ma mi hanno snobbato, ignorato e a volte addirittura osteggiato.
Osteggiato? Addirittura?
Certo. Sotterraneamente, ovvio, perché pubblicamente non potrebbero farlo. All’inizio avevo pensato che i loro dubbi derivassero dal fatto che qui non è mai successo che un membro di una famiglia così “pesante” prendesse pubblicamente le distanze dalla mafia. Poi invece mi sono convinto della cattiva fede.
Quindi possiamo dire che la politica della Leopolda ha antenne più allenate del mondo dell’antimafia?
Credo che anche quelli del Pd siano rimasti sorpresi. Avevano in mente di affrontare anche il tema dell’antimafia e un amico di Castelvetrano mi ha chiesto se avessi voluto intervenire. Anzi, mi ha detto “hai cinque minuti” e io mi ero preparato anche il discorso bello scritto ed ordinato. Quando è stato il mio turno però non ho letto nulla, il discorso ce l’avevo nello stomaco ed è successo qualcosa di incredibile.
Cioè?
Un silenzio. Assordante. Il silenzio assordante. Gente in piedi che piangeva. In quel momento credo che tutti si siano dimenticati del partito e della “politica”. Ne sono stato felice.
E poi mi vuoi dire che non c’è stato il tentativo prevedibile di “mettere il cappello” sulla tua storia?
Beh, certo. Anche se in realtà sono stati più quelli degli altri partiti che, accusando il Pd di volermi strumentalizzare, hanno finito per farlo loro stessi.
Possiamo dire che, comunque, è stata una buona occasione per te.
Avevo bisogno di parlare. Di urlare. E meno male che è successo. Io non vivo una situazione facile: una volta che decido di mettermi contro un mafioso, tra l’altro ancora libero, non posso più tornare indietro. Mica posso dirgli “scusa Matteo Messina Denaro mi sono sbagliato, ti chiedo perdono, torno al mio posto”. Mi sono lanciato nel vuoto e devo andare fino in fondo.
Riannodiamo i fili della tua storia. Quando nella tua vita ti rendi conto di essere il “parente” di un boss?
Da piccolo. Considera però che mia madre questo parente l’ha visto per l’ultima volta al suo matrimonio. Malgrado mia madre fosse cugina con la famiglia Messina Denaro, la mia famiglia non ha avuto rapporti con loro per venticinque anni. Fino a circa tre anni fa quando c’è stato questo maledetto avvicinamento da parte loro, ovviamente perché avevano bisogno di qualcosa. Fin da piccolo si respirava questa figura misteriosa con questo fascino nero.
Quindi quasi positivo?
In casa si preferiva non parlarne ma a scuola, con i ragazzi, molti sicuramente lo vedevano come un mito perché imprendibile, nascosto bene e tutte queste storie… Finché, quando avevo quattordici o quindici anni, mio padre venne arrestato per la prima volta per collusione e favoreggiamento nei confronti della famiglia Messina Denaro. Ovviamente per la parentela che li accomunava mio padre non avrebbe potuto facilmente dire di no. Sbagliando, mio padre ha pensato che quello sarebbe stato il male minore.
L’INTERVISTA INTEGRALE SU LEFT IN EDICOLA DA SABATO 7 MARZO
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