Quando Yanis Varoufakis si recò in Germania nelle sue vesti di ministro greco delle Finanze, il quotidiano Die Welt lo presentò così: «Varoufakis, il comunista libertario, viene in Germania come per un combattimento di cani. Con la camicia fuori dai calzoni, il colletto della camicia aperto… Cerca la vittoria – soprattutto sulla Germania. Nessuno se la farà addosso a causa di questo ruffiano accademico».
A poche ore dall’incontro di Bruxelles, sui giornali tedeschi si sono lette messe in guardia dal “cavallo di Troia” e dall’ “inganno greco”. Nemmeno ai mondiali di calcio l’aggressività tedesca ha mai trovato toni così forti. Lo scontro era tra il campione tedesco, Schäuble, e il ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis. Un esempio “Così Schåuble metterà in ginocchio Tsipras” sulla Welt del 20 febbraio. O anche: «Schåuble sa quale sia la lingua che Atene capisce». E laBild si poneva una domanda significativa: Sono più pericolosi i russi o i greci? Passa la giornata di venerdì e Die Welt diventa il pollice verso dell’imperatore sullo schiavo vinto nell’arena: quel ministro delle Finanze a cui piace recitare la parte del ribelle, con la sua giacca di cuoio e la camicia fuori dai calzoni ora è vinto, indebolito. La sua frase “Da oggi siamo padroni del nostro destino” è citata con ironia.
Sarebbe lungo elencare gli insulti che i media tedeschi hanno rovesciato sui diversi partners per poter capire di quanti e quali veleni si sia caricata l’atmosfera europea. Del resto, si tratta di insulti scambievoli. Tutti hanno visto di recente anche su giornali italiani la vignetta greca di Schåuble in divisa di SS nazista. E l’Italia non sfugge a questo gioco al massacro.
Intanto assistiamo al generalizzarsi di uno scontro che ha al centro il caso della Grecia. Se Tsipras accusa Portogallo e Spagna di mancata alleanza in Europa (e sullo sfondo c’è l’ombra dell’Italia di Renzi), Mariano Rajoy reagisce pubblicamente con grande violenza per la paura dell’avanzata di Podemos. Si vive come in un condominio: il vicino cessa di essere visto come un essere umano appena si deve fare il conto delle spese.
Ma c’è una conclusione politica da ricavare dallo stato delle cose. L’Europa dell’euro e delle banche non è diventata una realtà unitaria nella formazione di una sua volontà politica. La guerra che vi si combatte col rubinetto delle finanze non è meno micidiale di quella delle bombe. E questo è il segno evidente del fallimento in cui la vittoria del liberismo selvaggio e dell’Europa delle banche ha trascinato quella rinascita di un’Europa pacifica e solidale che fu sognata sulle rovine della Seconda guerra mondiale.
Dietro questa tempesta di parolacce c’è il dramma della disoccupazione giovanile e della devastazione dei rapporti sociali che ha raggiunto in Grecia la sua punta massima ma che non risparmia l’Italia. Da noi i dati Istat parlano di quasi metà della popolazione giovanile senza lavoro (41%). Ma non dicono quanto sia precaria e senza diritti la qualità del lavoro che viene offerto alla cosiddetta “generazione Y”, i primi esseri umani a non aver mai vissuto in un mondo senza internet: se ci riescono, avranno quei contratti a tempo definito o quelle “esperienze lavorative” che sono, ha scritto Zygmunt Bauman, «scaltri espedienti di evasione e di crudele, spietato sfruttamento» (Z.Bauman – C.Bordoni, Stato di crisi, Einaudi).
Così, mentre l’Italia di Renzi riscuote l’approvazione di quella troika che Yanis Varoufakis ha messo alla porta in Grecia, sarebbe importante cominciare a riflettere anche da noi sulla “Modesta proposta” di Yanis Varoufakis, Stuart Holland e James K. Galbraith, una riflessione che parte proprio dal dato più evidente della crisi, il frammentarsi dell’Unione europea.