Desiderate, temute e infine rinviate, fra accuse incrociate dei principali schieramenti. Le elezioni in Nigeria stanno dividendo il paese. Ecco perché dobbiamo seguirle con attenzione. E perché i “Soldi sporchi” dell’omonima graphic novel, che Left racconta con tavole e un’intervista in esclusiva sul numero del 7-13 marzo 2015, sono più che mai attuali.
Come in “Soldi sporchi. Corruzione, riciclaggio e abuso di potere fra Europa e Delta del Niger”, tutto parte dal sud del paese più popoloso d’Africa. La foce del terzo fiume africano è una delle principali riserve di petrolio del pianeta. Due milioni di barili al giorno, estratti da compagnie internazionali – Shell, Chevron e Eni in prima linea – in accordo o tramite società locali. Una fortuna in mano a pochissimi, che fornisce il 20 per cento del carburante europeo. Luca Manes, che ha sceneggiato il fumetto con l’associazione Re:Common, spiega che “la storia di Oloko, il protagonista, mostra con chiarezza la connivenza fra élites locali e istituzioni pubbliche e private occidentali, che lucrano sulla povertà e sul degrado ambientale di una zona strategicamente centrale”.
Capire qualcosa della politica nigeriana è però difficile quanto seguire gli intrecci sentimentali delle serie TV di Nollywod, la ricca industria del film di Lagos. “Soldi sporchi” ci offre una traccia. Partiamo da James Ibori, il super corrotto del fumetto. Per 8 anni governa il Delta State e nel 2007 è arrestato da Nuhu Ribadu, a capo della Commissione governativa per i Crimini Economici e Finanziari, un Raffaele Cantone nigeriano ante-litteram. Solo Goodluck Jonathan, originario del Delta e presidente dal 2010 a oggi, riesce però a metterlo alle strette, costringendolo a fuggire dal paese. Emergono a quel punto presunti legami di Ibori con il Mend – Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger, un gruppo armato che combatte contro le compagnie estrattive straniere e l’esercito nazionale che le protegge.
Oggi, almeno in apparenza, le carte si sono clamorosamente rovesciate. Nelle elezioni del 28 marzo, rinviate di sei settimane formalmente per combattere Boko Haram, si confrontano il PDP di Jonathan e l’APC di Muhammad Buhari, un ex generale golpista noto per il suo ostracismo, almeno teorico, verso la corruzione e per quello, tutto pratico, verso i diritti umani. Asari Dokubo, energico leader delle Forze Volontarie del Delta, altro gruppo armato vicino al Mend, ha dichiarato a gennaio che “se Jonathan perde, metteremo sottosopra il paese”, accusando Buhari, le cui visioni fondamentaliste dell’Islam avevano avuto eco in passato, di essere vicino a Boko Haram. Buhari è appoggiato da Bola Tinubu, ex governatore dello stato di Lagos. Anche Tinubu, come Ibori, fu messo sotto indagine da Ribadu nel 2007 e poi prosciolto da ogni accusa nel 2009, dopo la rimozione di Ribadu dall’incarico.
Tutto, o quasi, riporta a Ibori. I fondi al centro di “Soldi Sporchi” coinvolgevano anche la Oando, oggi la prima compagnia petrolifera nigeriana, e forse di tutta l’Africa. Ceo di Oando è Wale Tinubu, un parente di Bola Tinubu. E Jonathan? Sua moglie Patience venne indagata per una frode da 13 milioni di dollari proprio da Ribadu, nel 2006. Accusa poi caduta. Il simbolo nazionale dell’anticorruzione sfidò Buhari e Jonathan alle precedenti elezioni presidenziali, nel 2011, arrivando al terzo posto. Oggi però Ribadu è candidato alle legislative, che si terranno l’11 aprile, come governatore dell’Adamawa State, nel nord, nelle fila del PDP dell’ex-avversario Jonathan. E lo scorso dicembre molti giornali nigeriani hanno rumoreggiato di una vista segreta di Jonathan a Ibori, in carcere a Londra, con lo scopo, si dice, di trattare per un suo rientro in patria. Ibori è insomma ancora potente e il suo primo accusatore Ribadu, con un trasformismo del tutto simile a quello italiano, è alleato del suo – di Ribadu e Ibori – ex-nemico, che avrebbe incontrato quest’ultimo in carcere.
I sondaggi, poco attendibili, danno Buhari al primo posto. Nella confusione del momento, l’unica certezza è che il 28 marzo – salvo ulteriori rinvii – si giocherà un momento cruciale per la Nigeria, per tutta l’Africa e per gli assetti globali. Dopo le elezioni del 2011 gli scontri avevano ucciso quasi mille persone e oggi la tensione sembra più alta che allora. Tutto, come recita il titolo di un recente successo del cinema nigeriano, “In the name of money”.