Montale come un altro Eusebio, Kafka come Rivera, Beckett stopper attendista, Flaiano finta ala destra. La letteratura vista attraverso la metafora calcistica nel libro di Silvano Calzini.

Kafka è stato Rivera prima di Rivera. L’indifferenza dello scrittore a passeggio tra la gente di Praga si sovrappone, come fosse la scena iniziale di un film senza ancora i titoli di testa, alla solitudine di Rivera che torna a centrocampo dopo l’ennesimo assist vincente per Pierino Prati nella finale di coppa Campioni del ’69 tra Milan e Ajax. Questa la tesi spiazzante del libro Figurine. I grandi scrittori raccontati come campioni del pallone scritto da Silvano Calzini per INK Edizioni.

Il calcio quindi è la lente d’ingrandimento per leggere “dentro” gli scrittori. Alcuni di questi, come Albert Camus, Conan Doyle e Nabokov, furono anche giocatori. Gli altri, sono raccontati attraverso la metafora calcistica. Calzini lavora le storie dei singoli, le biografie, le caratteristiche, lo stile e le opere maggiori per poi affidarle ad una fantasia capace di proporre personaggi nuovi: i calciatori d’altri tempi. Basta agitare bene e si ottiene la figurina: il portiere, il difensore, il mediano, l’attaccante, l’ormai estinto fantasista o l’eterno senza ruolo.

Il numero uno non poteva essere che lui: Albert Camus, il portiere, il primo uomo, il più giovane Pallone d’Oro di sempre. Talmente forte da costringere in panchina il russo Nabokov, precursore di Jascin e Dasaev. Tra i difensori si parte dal libero, perché il calcio che Calzini ama è quello di una volta, quello che non può prescindere dal libero. Ed ecco allora Giorgio Bassani e la sua lunga carriera tutta con la maglia della Spal. I terzini di fascia sono Lucentini e Fruttero, complementari.

Samuel Beckett, irlandese, è lo stopper che non si spinge mai in avanti. Un attendista. Davanti alla difesa fa scudo Carlo Emilio Gadda, ingegnere di Milano, l’unico laureato insieme agli indimenticabili Fulvio Bernardini ed Annibale Frossi. E se non bastasse, è pronto Leonardo Sciascia, stile essenziale: fisico alla Bertie Vogts e visione di gioco alla Beckenbauer. A centrocampo c’è l’imbarazzo della scelta. Longanesi è il motorino instancabile al fianco di Conan Doyle che calciatore lo fu davvero e di Sandòr Marai, titolare fisso nell’Ungheria di Puskas.

Buzzati, Calvino e Malaparte, toscano maledetto dai piedi buoni, garantiscono la qualità insieme a Cesare Pavese che ha sprovincializzato il calcio di casa nostra. Thomas Mann, dedica alla professione 24 ore su 24. Eugenio Montale è saggiamente definito l’altro Eusebio. Le convocazioni degli attaccanti, si sa, sono sempre le più difficili. Il solista Luciano Bianciardi spicca al pari di Hemingway: il cecchino che inquadrava la porta come nessuno e che segnò gola grappoli nella Liga spagnola.

Ennio Flaiano è la finta ala destra e Alberto Moravia il Garrincha “de noantri”. Ed è nell’incessante susseguirsi di attaccanti e di fantasisti che il lettore, proprio come un tifoso, può soffermarsi su tutti i suoi campioni eventualmente aggiunti alla lista, perché no, anche a sacrificio di altri nomi. L’autore stesso ammette di aver dovuto escludere, a malincuore, le scrittrici per le evidenti ragioni che ispirano l’opera. E proprio perché si parla di pallone, ognuno può sempre sentirsi in diritto di criticare le scelte dell’allenatore.

Bella la postfazione di Antonio D’Orrico in cui ciascun amante della letteratura e del bel calcio che c’era una volta troverà lo spunto per comporre la propria formazione ideale. Rigorosamente dall’1 all’11.