C’è un film del 2006 sul football americano, s’intitola Invincibile ed è la storia di Vince Papale, giocatore a tempo perso che riesce ad arrivare fra i professionisti dell’Nfl. In una scena Mark Wahlberg, l’attore che interpreta Papale, parla con un suo compagno di squadra, che senza troppi preamboli gli dice «io gioco centro, io odio tutti». Nel ruolo di centro giocava anche Fabio Tortosa, 42 anni, romano, professione poliziotto. Non un poliziotto qualunque, ma uno degli ottanta del VII nucleo, quello che ha fatto irruzione nella scuola Diaz nel corso del famigerato G8 di Genova del 2001. “Macelleria messicana” secondo il vicecomandante del VII nucleo Michelangelo Fournier, tortura per la Corte europea dei diritti dell’uomo.
A Tortosa poco importa della sentenza di Strasburgo. Non rinnega quanto avvenuto, anzi, rincara. «Io sono uno degli 80 del VII nucleo. Io ero quella notte alla Diaz. Io ci rientrerei mille e mille volte», scrive il 9 aprile su Facebook. Gli apprezzamenti si sprecano, sono quasi duecento sotto forma di like. Un fiume di commenti segue il suo post, e molti sono a favore. Ma prima di portare il casco da celerino Tortosa ha indossato quello da football.
Si appassiona da giovanissimo, segue da tifoso gli U-Boat di Ostia, vorrebbe giocare ma non ha ancora sedici anni e le norme dell’epoca gli vietano di entrare in campo. Ci riesce nel ’90, quando veste la maglia dei Marines Ostia. Qualche parentesi in giro per l’Italia, ma coi Marines – dal 2004 non più solo Ostia, ma Lazio – è amore per la vita. Vent’anni di carriera con gli stessi colori, prima da giocatore, poi da dirigente. È forte, Tortosa: gioca centro, ruolo da giganti ed estremamente delicato.
Protegge il quarterback, il regista della squadra: gli consegna la palla a ogni azione, poi gli fa da schermo. Spinge, arretra, incassa e dà botte. Tutto, purché chi gli sta dietro non venga toccato dagli avversari. «Mi faceva vibrare la pelle pensare che in attacco tutto partiva da me», diceva in un’intervista di qualche anno fa apparsa su un sito internet. Quando smette di giocare i Marines lo onorano ritirando il suo numero di maglia, il 62: in futuro nessun altro giocatore del team potrà indossarlo. Il football non termina con l’addio ai campi: la passione di Tortosa è troppo forte, fa il dirigente e dei Marines diventa il vicepresidente.
Della sua esperienza si avvale anche la Fidaf, la federazione di football americano (il cui presidente dal 2002 è Leoluca Orlando): ottiene la carica di consigliere federale, poi di responsabile dell’organizzazione del campionato Under 19, di quello di Terza Divisione e in alcune occasioni fa il capo delegazione per il Blue Team, la nazionale italiana. Nell’ambiente lo descrivono come estremamente preparato sulla conoscenza delle norme amministrative e rigoroso nell’applicarle, ma poco incline al dialogo. In sintesi, o si è con lui o si è contro di lui. E sono tante le discussioni, non sempre pacate, che l’hanno visto protagonista, sui social network e sui forum degli appassionati di football.
«Il football insegna soprattutto a stare in mezzo alla gente, è pieno di codici non scritti, tutti molto attinenti alla vita fuori dal campo. Se avrai rispetto del tuo coach, avrai rispetto delle persone più anziane. Se sei in grado di essere un punto fermo per i tuoi compagni di squadra sicuramente saprai esserlo anche per la tua famiglia». Le parole sono sempre di Tortosa. Del poliziotto Tortosa, che dovrebbe proteggere le persone, così come proteggeva i suoi quarterback. Ma la sera del 21 luglio 2001 forse odiava tutti.
[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/DarioGiordo” target=”on” ][/social_link] @DarioGiordo