In queste ore, la Camera sta esaminando la proposta di legge sul divorzio breve per l'approvazione definitiva. Ma cosa cambia veramente nell'Odissea del divorzio?

Divorzio breve? Non proprio. Più che altro un separazione breve, quella in esame in queste ore alla Camera, quindi niente, non cantate vittoria troppo presto: non riuscirete a liberarvi del vostro matrimonio così facilmente. Il divorzio breve rimane un miraggio. O meglio, il disegno di legge è passato a grande maggioranza in Senato (228 a favore, 11 contrari e altrettanti astenuti) e i tempi per poter chiedere il divorzio effettivamente si accorciano: dai 3 anni si passa ai 12 mesi (se giudiziale, 6 se consensuale) dal momento della separazione legale. Ma essendo un divorzio breve all’italiana, la nuova legge – attualmente in terza lettura e per l’approvazione definitiva alla Camera – maneggia i tempi della separazione più che quelli del divorzio, e va a modificare una condizione che si potrebbe invece eliminare completamente, o quanto meno rendere facoltativa come in Spagna: la separazione legale.

Quella invece non si tocca. Fa niente se esisteva ed era stata ideata nei tempi arcaici preesistenti il divorzio al fine di sostituirlo, e fa niente se nel frattempo, la Chiesa non se ne abbia, il divorzio è passato e la separazione non ha più motivo di esistere – se non forse come residua speranza di un “ripensamento” (termine utilizzato per denominare questo periodo). In Italia l’immediatezza crea delle perplessità, quindi la possibilità di saltare questo passaggio è stata stralciata proprio al Senato: via il comma 2 dell’articolo 1 e con lui l’emendamento che introduceva il divorzio immediato. Più che di “divorzio” breve, si tratta di “separazione” breve, dunque. Una leggerezza comunicativa che fa la differenza. Ad accorciarsi infatti, sono i tempi dei quest’ultima più che quelli del divorzio vero e proprio, che invece resterà invariato. Anzi, non è mai stato oggetto di discussione. I tempi di quel divorzio che massacra uomini, donne e soprattutto i loro figli, che riscrive decenni di vita passata e trasforma risorse economiche in armi per abbattersi l’un l’altro, ecco: quello resta esattamente com’era. Semplicemente, inizierà due anni prima. Infinito, fatto di ricorsi e parcelle salate, il divorzio resterà immutato perché necessiterebbe, come molti altri campi, di una riforma della giustizia e soprattutto delle sue procedure.

L’unica vera novità della mini-riforma infatti, è che si riduce il termine del suddetto “ripensamento”, ovvero il margine che intercorre fra quando si decide di separarsi e quando effettivamente ci si troverà davanti al giudice per “ratificare” la separazione legale. Come a dire: ma siete sicuri-sicuri che volete separarvi? Sarebbero anche questioni private fra le persone, nelle quali lo Stato non dovrebbe intromettersi, se il nostro, di Stato, non fosse paternalistico. In ogni caso: se proprio siete decisi con questa storia del divorzio, ora almeno potrete risparmiare due anni e mezzo. Non male. Se si è d’accordo. E se non ci sono figli minorenni, non indipendenti economicamente o portatori di handicap. Anche se economicamente cambia poco perché, e questa è una novità importante, lo scioglimento della comunione dei beni inizia dal momento della separazione legale certificata dal giudice – o da un ufficiale di stato civile (il sindaco), come già introdotto dall’articolo 12 della riforma della giustizia civile del ministro Orlando entrata in vigore a novembre: la negoziazione assistita che ha comportato la possibilità di redigere accordi di separazione o divorzio in forma privata.

Ma di saltare questo passaggio non se ne parla. Il motivo? Ufficialmente quello di accorciare i tempi di approvazione della legge. Per il divorzio diretto comunque non preoccupatevi: se ne scriverà un’altra. Più avanti. A breve, ma più avanti. Ci vuole tempo anche a essere rapidi, in Italia. Tempo e altri soldi, se si pensa ai costi che comporta la stesura, le modifiche nelle commissioni, la discussione e la pioggia di controproposte ed emendamenti che puntualmente vi si accompagnano, le sedute in aula.

Nei fatti, ancora una volta dietro al blocco dello sviluppo della legge c’è la rappresentanza cattolica in Parlamento: Udc e Ncd, poi appoggiati immancabilmente dal Partito democratico sempre meno laico e da Forza Italia, avevano alzato le barricate rischiando di far saltare l’intero provvedimento. «Il Partito democratico troppo spesso lancia il sasso e ritira la mano. L’ha fatto con le adozioni, la stessa cosa sta facendo col divorzio diretto e così faranno anche con le unioni civili, che interesseranno solo le coppie omosessuali e solo in alcuni aspetti. Fanno accelerazioni per poi tornare indietro ed evitare così una spaccatura con la rappresentanza cattolica. Ma non ci fanno una bella figura. Paradossalmente chi è stato innovativo e sorprendente, qui, è proprio Ncd», ha commentato Diego Sabatinelli, segretario della Lega Italiana per il Divorzio breve. Il problema, secondo Sabatinelli, è che «sul divorzio diretto si sarebbe trovata una maggioranza trasversale, e questo fa paura al governo. Quindi s’impedisce che i senatori esprimano il proprio voto in maniera indipendente rispetto alle indicazioni di governo. In Paesi che hanno una tradizione democratica molto più forte della nostra, una cosa del genere non esiste: su questi temi di questo calibro, non esiste disciplina di partito ma libertà di coscienza». Non è l’unica differenza di civiltà, fra noi e l’Europa: «La fase della separazione legale è rimasta praticamente solo a Malta, in Irlanda del nord, in Polonia, e… in Italia», tutti i Paesi di forte impronta cattolica.

Ma perfino in Spagna, prosegue il radicale, «dove hanno una tradizione di tipo cattolico, hanno due binari, dando la possibilità di scegliere se fare la separazione legale o accedere direttamente al divorzio». Dalla modifica del codice civile del 2005, separazione e divorzio vengono considerate come due opzioni distinte alle quali i coniugi possono fare ricorso indifferentemente per far fronte alle vicissitudini matrimoniali. Alla base vi «è il rafforzamento del principio della libertà dei coniugi, che si realizza limitando il più possibile l’intervento giudiziale e lasciando il più ampio spazio alla libera volontà delle parti», si legge. Stessa cosa in Francia, dove il legislatore non ha prescritto l’obbligo di una successione temporale tra separazione e divorzio ai fini dello scioglimento del vincolo matrimoniale, soprattutto in presenza dell’accordo consensuale dei coniugi, e per la quale è necessaria una sola udienza.

Ma in Italia, no: «Abbiamo due giudizi per la stessa “colpa”», rincara Sabatinelli. Tra il sostegno alla scelta individuale da una parte e la tutela della sacra moralità dall’altra, ancora una volta la burocrazia in Italia si strutturerà per garantire la seconda, a scapito della facilitazioni per le quali invece i progetti di legge andrebbero invece pensati. «È in gioco l’esistenza stessa della famiglia!», hanno tuonato le associazioni familiari. «Una forma sociale stabile a rischio: esattamente quello che dicevano nel 1970 quando hanno introdotto il divorzio. Le obiezioni sono sempre le stesse», ribatte Sabatinelli. Siamo pur sempre il Paese dei panni sporchi che si lavano in casa, della famiglia che è una sola, meglio frustrati e sofferenti, piuttosto che liberi di scegliere. «Modificarlo con una norma ulteriormente innovativa come il divorzio lampo è un rischio», ha detto il capogruppo Pd Luigi Zanda: e in effetti già vediamo orde di feticisti del divorzio sposarsi solo per il gusto di separarsi velocemente. Senz’altro invitante. Innovazione? Non scherziamo.