«Vi faremo sapere» è il refrain di ogni colloquio di lavoro. Poi cala il silenzio. E si ricomincia. Liste di collocamento, disoccupazione, ingaggi a chiamata, che non arriva mai. Ma i giovani – precari, lavoratori a intermittenza, freschi di licenziamento – non ci stanno a farsi mettere al collo l’etichetta NEET, per diventare la scimmietta del sociologo di turno.
Meglio essere cervelli in fuga. In fuga sì, su una bici senza sella. Olio di ginocchia. Fantasia e una buona dose di auto ironia. Per provare a sfangarla.
Nasce così il progetto cinematografico In bici senza sella ideato da Alessandro Giuggioli che mette in rete autori da ogni parte d’Europa. Autori di talento, che sanno bene di che si parla quando si dice precarietà. «In Bici senza sella nasce due anni fa. Ero da poco tornato da un’esperienza di tre anni a Londra e avevo appena cominciato il mio lavoro di produttore», racconta Giuggioli.«Ma in Italia mi sono trovato davanti una realtà ben diversa: qui vengono date poche possibilità per realizzarsi.
Così, una sera, dopo il classico Signori e Signore buonanotte mi si è accesa una lampadina. Perché non provare a mettere insieme giovani di talento facendoli esordire insieme al cinema?». Così con Vittoria Brandi, coautrice di alcuni degli episodi del film, Alessandro Giuggioli ha chiamato a raccolta amici attori e registi. «Intorno ad un tavolo, abbiamo cominciato a scambiarci idee.
Il tema del precariato era forte per tutti, avendolo vissuto tutti i giorni sulla nostra pelle». Ma ognuno voleva affrontarlo da un punto di vista diverso. Su un punto però erano tutti d’accordo: «Non piangersi addosso, non attaccare nessuno, ma proporre una propria visione per quanto grottesca, ridendoci sopra, e soprattutto avanzare soluzioni, per assurde che siano». Ma per noi, com’è essere precario? Azzarda qualcuno: è un po’ come andare in bici senza sella, abbozza il Giuggioli. «Ci siamo guardati sorridendo, avevamo già capito. La sera dopo accendo la TV e vedo gli ultimi minuti di una gara di Mountain Bike: non volevo credere ai miei occhi, un ciclista stava tagliando il traguardo per secondo senza sella. La giornalista chiede come si fa a pedalare senza sella?. E lui: “mah, è un po’ come stare in Italia”. Senza dubbio, quello era il titolo!».
La precarietà, niente affatto immaginaria, dei registi come cambia l’opera finale?
Spero la renda più vera. Chi scrive sceneggiature sa bene che è difficile scrivere nella propria stanza. Se voglio parlare di precariato devo conoscere cosa significa essere precario. E poi credo che questa nostra condizione abbia tirato fuori un’energia creativa incredibile. Penso, solo per fare un esempio, all’episodio girato da Francesco Dafano: praticamente è muto. Con la sua sensibilità il regista è riuscito a realizzare 15 minuti di pura poesia.
Ad accendere la miccia è stato l’episodio girato da Sole Tonnini?
Tutto è cominciato dal lavoro di Sole e Gianluca Mangiasciutti. E’ stato la prima pietra. Forse la più importante. Con pochissimi mezzi e il tempo limitato ( praticamente è stato girato in una notte) hanno realizzato un piccolo gioiello. Loro due, così come gli altri sette registi, hanno le carte in regola per diventare dei grandi registi.
Quale è stata la reazione del pubblico alle anteprime nei festival?
Al festival di Trevignano avevo accanto a me Sole e l’attore Luca Scapparone, dall’altro lato Francesco Dafano. Eravamo impauritissimi. Pensavamo però di aver portato qualcosa di bello. Al buio sono partiti gli applausi, uno scroscio che non terminava più, credo di essermi commosso… io piango sempre anche davanti ai Simpson.
Così è partito il tam tam del crowdfounding?
E’ partito il 27 marzo e abbiamo tempo fino a fine maggio. Abbiamo superato i 10mila euro, ma speriamo di riuscire a raggiungere il nostro obiettivo. Dobbiamo lavorare duro, sollecitare le persone, attirare la loro attenzione. Lo strumento crowdfunding non è ancora molto conosciuto in Italia e trova delle resistenze, ma vedo che cominciano ad accorgersi di noi e ogni giorno sempre più persone ci supportano.
Qual è l’obiettivo creativo di questo progetto a più mani?
Portare al cinema questo film, farlo vedere. Poi non nascondo che l’obiettivo sia anche “politico”. Nel senso bello del termine. Mi piacerebbe che fosse un progetto pilota. Che apre la strada. E’ inutile fare le battaglie da soli. Si cerca di custodire le idee (e a volte è giusto) ma spesso porta a dire “o lo faccio io o non lo deve fare nessuno”, invece serve cercare alleanze con chi ha un modo di pensare affine. Le battaglie, sopratutto se fatte “dentro casa” non portano vittorie.
E poi…?
Vorremmo far capire che siamo tanti, che non ci arrendiamo, e che nonostante tutto abbiamo ancora voglia di ridere e far ridere. Abbiamo preso tante “sberle” in questi anni, ma forse ci hanno rafforzato. Il gruppo è importantissimo. Il nostro ha funzionato. Nel tempo poi altri si sono affiancati, penso ai ragazzi dell’AMARO (Giovanni Battista Origo, Francesco Formica, Ermes Vincenti) che stanno facendo un lavoro incredibile. Siamo una squadra, nessuno è più importante dell’altro
Nel frattempo In bici senza sella sta diventando un progetto europeo?
Il precariato non è una condizione esclusivamente Italiana, quindi certo, noi ci rivolgiamo ad un pubblico più ampio. Quando ho compiuto 19 anni siamo entrati nell’ Euro, si viaggiava con la sola carta d’identità, i miei amici sono partiti, alcuni sono tornati, altri sono rimasti. Io mi sento Italiano ma mi considero un cittadino europeo, anche se vedo una grande miopia a Bruxelles. Io spero che i governi dei singoli Paesi inizino prima o poi a collaborare per il bene comune. Io continuo a crederci, speriamo non mi facciano cambiare idea.
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