Mentre il ddl Buona scuola è stato licenziato alla Commissione Istruzione senza grandi modifiche sui poteri assoluti del dirigente scolastico e adesso si appresta a essere discusso alla Camera, Left racconta la storia di un preside “contro”. E una visione ideale e una pratica di scuola che non è quella prevista dalla riforma renziana.
Preneste Anzolin: preside, non caporale
“Sono un dirigente scolastico e non ho studiato per fare il “caporale”. No alla scuola di classe”. Un cartello scritto a mano appeso al collo, la giacca tenuta elegantemente sulle spalle, il preside Preneste Anzolin ha fatto il boom di like su facebook e sui siti. Migliaia di commenti di stima e di entusiasmo per quella scelta di campo così netta, il giorno dello sciopero generale del 5 maggio contro il ddl scuola. “Ho usato ‘caporale’ non a caso, mi riferivo a quei figuri che all’inizio del secolo scorso – specialmente nelle nostre terre del sud – passavano all’alba nelle piazze a scegliere i braccianti, a seconda della corporatura, della forza, dell’età, ma anche della simpatia o della parentela. Noi presidi ci vogliono far diventare così”, dice il professor Anzolin al telefono. Quello con il dirigente scolastico che non vuole diventare un “caporale” è stato un incontro molto interessante. La dimostrazione, se ce ne fosse stato bisogno, di come il nostro Paese sia ricco di insegnanti che sperimentano, studiano e vivono la scuola come un mondo in continuo movimento. La scuola come presidio di cultura e di democrazia.
La storia di Preneste Anzolin ne è un esempio. Una formazione politica nel partito comunista, fondatore del movimento ambientalista e pacifista di Taranto, vive e lavora a Palagiano. “Mi sono laureato alla Sapienza negli anni 70 ma decisi di tornare giù, eravamo idealisti pensavamo che se tutti fossero scappati, il Sud non si sarebbe mai ripreso”. Un nome rarissimo (“il villaggio dove approdò Enea e visto che sono ateo, nessun santo da festeggiare”), un cognome veneto (“dal bisnonno di mio padre”) e un doppio incarico: preside da undici anni dell’istituto comprensivo Gianni Rodari di Palagiano e reggente nell’istituto superiore Marisa Bellisario di Ginosa. “Questo la gente lo deve sapere, ci sono tante scuole che non hanno diritto ad avere un dirigente, nonostante ci siano presidi che hanno vinto un concorso, ma ovviamente al Ministero fa più comodo avere un reggente che pagare uno stipendio intero a un dirigente”, dice.
Una mobilitazione mai vista
Quando lo sentiamo al telefono, il preside è appena tornato da una manifestazione che ha attraversato la città di Taranto, dal piazzale dell’arsenale fin sotto la prefettura. Tantissima gente, tutti i sindacati uniti, un documento comune – in cui si chiede il ritiro del ddl – consegnato al prefetto, alla presenza di alcuni sindaci e assessori dei Comuni tarantini. “Il prefetto si è impegnato a far giungere il documento sul tavolo del ministro Giannini”, racconta. Insegnanti, genitori e amministratori pubblici che si rivolgono a un prefetto per far cambiare idea al governo: soltanto questo basta per far comprendere il clima che sta provocando il ddl 2994, diramazione della Buona scuola renziana.
“L’obiettivo è il ritiro del ddl e la riapertura di un dialogo serio sulle esigenze della scuola”, continua Preneste Anzoin. Dopo il boicottaggio delle prove Invalsi alle elementari, probabilmente la stessa cosa accadrà il 12 maggio alle superiori. E intanto continuano i flashmob in piazza e in rete.
I sindacati non scartano nemmeno l’idea del blocco degli scrutini, che ne pensa? “Il movimento chiede il ritiro del ddl, questo è chiaro. D’altra parte io penso che il risultato dello sciopero sia stata una sorpresa anche per lo stesso sindacato – l’80 % di adesione non si era mai visto -. E questo li deve far riflettere”. In passato non era mai accaduta una partecipazione così vasta, anche da parte di chi, in genere, non è sindacalizzato. “Mi sono stupito anch’io per quanto è accaduto nella mia scuola dove la partecipazione attiva è sempre benvenuta. Alcuni docenti si sono organizzati, hanno fatto volantinaggio davanti ai cancelli, hanno attaccato degli striscioni alla recinzione. Con una grande partecipazione anche dei genitori che non hanno mandato i bambini a scuola per le prove Invalsi”.
Sarà una scuola di classe
Il presidente del Consiglio dice che la riforma non è stata capita. Ma il preside Anzolin invece è certo: “La gente sta percependo benissimo che dietro questo disegno di legge c’è un’altra idea di scuola, in negativo. Il ritorno alle scuole di serie A e di serie B. Quelli che stanno nei quartieri bene e quelli delle periferie sgarrupate. I genitori comprendono che con il 5 x mille versato alla propria scuola, ci saranno scuole povere e ricche. Non ci vuole un grande economista per capirlo”, continua. E poi la chiamata diretta da parte del preside dei docenti è un altro fattore che preoccupa.
“La gente fa due più due e si chiede: ma come saranno individuati? Quali meccanismi scatteranno se già oggi nella pubblica amministrazione c’è tanta corruzione e ci sono tanti meccanismi indegni a cui si fa ricorso, come per esempio la parentopoli universitaria?”. I docenti più bravi poi, se potranno scegliere, andranno nei quartieri del ceto medio “illuminato” delle città, non certo a Scampia, Napoli o a Tamburi, Taranto. Stessa cosa vale per gli sponsor. “Certo, dove ci sono sponsor più ricchi tanto più ci saranno risorse, ma è altrettanto evidente che tanto più ci sono sponsor tanto più questi potranno imporre i loro desiderata, le loro scelte e quello che fa loro più comodo, soprattutto alle scuole superori”, sottolinea Anzolin.
L’uomo solo al comando non fa bene alla scuola
Come sarà il ruolo del dirigente scolastico? “Assistiamo a due facce della stessa medaglia – dice il preside pugliese -. Il dirigente che sceglie: sarà questo il meccanismo che si instaurerà e non a caso su quel cartello che è diventato famoso, ho scritto ‘non ho studiato per fare il caporale’. Noi dovremo leggere i curricula, ma cosa dovremo leggere? Ne dovremo consultare centinaia e centinaia ed è chiaro che è un meccanismo ignobile. L’altra faccia è quella dell’uomo solo al comando”. Una soluzione controproducente.
A scuola, ricordiamolo, esistono gli organi collegiali che “è vero, funzionano se si vogliono far funzionare e questo dipende dal dirigente, però è anche vero che gli organi collegiali almeno fino ad oggi avevano dei poteri. E’ anche vero, e va detto fino in fondo, che gli organi collegiali , quelli per i quali ci siamo battuti negli anni 70 con i decreti delegati, sono stati via via svuotati. Non si volevano, perché la partecipazione di tutte le componenti ha sempre fatto paura. A me non hanno mai fatto paura – ribadisce Preneste Anzolin – io li ho sempre fatti funzionare, certo a volte occorre anche coinvolgerli, renderli partecipi per far sentire che hanno un ruolo importante”. Nella scuola di Palagiano, per esempio, esiste un comitato dei genitori “che non è quello spontaneo che si crea quando c’è un problema”. Il comitato dei genitori è un organo collegiale riconosciuto dai decreti delegati che si riunisce, ha un suo presidente e obiettivi da raggiungere. Adesso, insieme al preside e al consiglio d’istituto sta conducendo una battaglia nei confronti del comune per la costruzione di un’altra ala della scuola.
La scuola aperta al territorio
Lo si dice spesso come slogan, ed era un cavallo di battaglia di Luigi Berlinguer, ma a Palagiano, avviene nella realtà: l’istituto comprensivo è aperto dalla mattina alla sera. Per le attività scolastiche, ma anche per quelle delle associazioni del comune: uno scambio continuo. E anche in questo caso il preside Anzolin si indigna: “E’ il collegio dei docenti e non il preside a definire il Piano dell’offerta formativa, a definire il rapporto con il territorio. Il collegio dei docenti è l’organo tecnico per eccellenza, lì ci sono le competenze, quello è l’organo per ideare il Pof e gli scambi e collaborazioni con l’esterno”.
Il Jobs act della scuola
Dietro il ddl di Renzi e Giannini, al di là del singolo comma o articolo, c’è un disegno. “Semplificando si può dire che quello che nel privato si è realizzato con il Jobs act, nella scuola si realizza con questo disegno di legge. I docenti si devono assumere, lo ha detto la Corte europea di giustizia. Ma i docenti che si devono assumere non sono “altri” lavoratori – questo non si dice – sono lavoratori che ci lavorano già nella scuola, anzi, la mandano avanti da decenni, solo che lo fanno da precari, per cui al 10 giugno o i più fortunati al 30 giugno, devono ricominciare da capo. Un po’ come accade per il Jobs act, la mobilità triennale varrà solo per i nuovi assunti e non per quelli di ruolo. E quando questi ultimi cambieranno scuola anche loro saranno assoggettati al volere del dirigente”.
La valutazione serve, ma non quella del ddl
Sta passando l’idea che i docenti non vogliono essere valutati e che tanta opposizione alla riforma renziana derivi dalla volontà di difendere privilegi corporativi. “Tante scuole operano bene, con insegnanti che fanno molto volontariato – dice il preside – anche a se ci sono, è vero, sacche di parassitismo e indolenza. Il punto è: cosa si può fare per mettere in grado tutte le scuole di avere docenti che sanno fare bene il proprio lavoro? Mettiamoli allora in condizione tutti quanti – anche obbligatoriamente – di doversi aggiornare ogni cinque anni, mandiamoli, pagando, per 3 mesi 6 mesi all’università! Se ci sono poi insegnanti che non vogliono fare il proprio dovere ci sono già adesso gli strumenti per intervenire, che prevedono perfino il licenziamento”.
E la valutazione, che viene usata come una clava dai renziani? “Nella scuola c’è già la valutazione di sistema che non è quella sul singolo docente ma è la valutazione di cosa la scuola fa, nel suo complesso, gli obiettivi e i risultati che ottiene. Se ne dimenticano sempre, ma da diversi anni sono attivi dei sistemi sperimentati di valutazione per il miglioramento: il Caf europeo e il Vales. Da quest’anno parte il sistema nazionale di autovalutazione che prevede l’autodiagnosi nella prima fase, con esperti, una cabina di regia. Io con i miei docenti – continua Preneste Anzolin – faccio da due anni il Caf, abbiamo imparato a fare l’autodiagnosi, cioè a individuare i punti di forza e i punti di crisi. Detto così sembra facile, ma andarli a studiare sulla base di criteri scientifici è un’altra cosa: ci vogliono mesi, ci vogliono consultazioni, confronto con gli organi collegiali, con gli stakeholders, i soggetti esterni alla scuola che sono interessati alla scuola.
E’ un lavoro lungo, faticoso, che abbiamo fatto sulla base di volontariato, centinaia di ore gratis. Alla fine di quel processo si progetta il piano di miglioramento che si attua in un anno, tre, a seconda della complessità. Ma per le misure di miglioramento – è una banalità dirlo – occorrono le risorse. Per esempio se uno dei punti di criticità è il fatto che il 50% dei docenti non sa usare il computer io devo organizzare un corso di formazione, devo pagare gli esperti”.
In conclusione: “Fare valutazione con dei quiz è impossibile. Mentre la valutazione di sistema si deve fare, aiuta la scuola stessa a individuare gli strumenti di miglioramento per superare le criticità”.
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