Ora i paragoni si sprecano: “lo Tsipras turco”, il suo partito una sorta di “Podemos sul Bosforo”. Gli accostamenti hanno qualche ragion d’essere (per fortuna nessuno ha osato arrivare al “Grillo di Istanbul), ma l’uomo nuovo della politica turca, il quarantaduenne Salahattin Demirtas, è anche, e soprattutto, qualcosa di più: un leader carismatico che ha saputo dare orgoglio, unità e identità alla frantumata (in partitini e tribù) minoranza curda senza però confinare il suo partito l’Hdp, dentro gli stretti confini di un’appartenenza comunitaria.
E questo perché, Demirtas ha saputo guardare oltre, proporre una visione laica, libertaria, della Turchia, attirando a sé il voto di una società civile organizzata, particolarmente attenta ai temi dei diritti civili, della libertà di espressione, di una sessualità plurale che rivendicava dignità e spazi nella vita pubblica. I colori raccontano a volte il senso di una impresa politica molto più delle parole. E allora qualcosa vuol dire che a festeggiare la vittoria elettorale dell’Hdp, (5,7 milioni di voti, pari al 12,7% e un totale di 78 deputati in Parlamento) sia stata una folla festante che ha percorso le strade di Tarlabasi, un quartiere nel centro di Istanbul dove la minoranza curda la fa da padrone, sventolando non solo un mare di bandiere giallo-verde-rosse, i colori dei curdi., ma anche quelle arcobaleno, i colori della pace, o quelle che sventolano festose nei gay pride.
Colori ed età: molti degli attivisti dell’Hdp, e del suo nuovo elettorato, sono giovani under 30, diversi dei quali protagonisti della rivolta libertaria di Gezi Park. In campagna elettorale aveva ribadito in ogni comizio che : «Siamo arrivati in una fase in cui possiamo iniziare a costruire una nuova vita mi candido non solo per poter diventare un presidente diverso dagli altri, ma anche per cambiare la Turchia». Così, in una intervista a Euronews, Demirtas , originario di Elazig, nel Kurdistan turco, una laurea in giurisprudenza racconta di sé e della scelta di impegnarsi in politica: «Mi sono sempre occupato di politica, fin da quando ero ragazzo.
La politica fa parte della mia vita. Mi sono sempre battuto per la democrazia. E come molti giovani curdi ho fatto diverse battaglie contro i diritti negati ai curdi, in nome dell’identità etnica, e contro l’oppressione. Sono in politica da quasi 25 anni. Negli ultimi otto anni sono stato parlamentare e co-presidente di un partito. Ho anche fatto l’avvocato nel campo dei diritti umani (è stato il fondatore del presidio di Amnesty International a Diyarbaki, ndr), ma come volontario.
Insomma in tutti questi anni, ho sempre lottato, senza un attimo di sosta, per i principi e i valori in cui credo. E non ho mai smesso. Posso definirmi un candidato cresciuto in un momento cruciale della storia della Turchia, ovvero quello della lotta per la democrazia». Una lotta che in molti, nella Turchia del “Sultano Erdogan” hanno pagato con la vita. Gli eurocentrici diranno di lui che “guarda ad Occidente piuttosto che a Oriente”. Non è così. Il messaggio dell’uomo nuovo della politica turca è che valori come quelli dell’inclusione, dell’uguaglianza della fraternità, dei diritti umani, della pace, sono principi universali, che appartengono all’umanità. E che possono unire le due sponde del Bosforo.