Forse il presidente del Consiglio, il ministro dell’Istruzione Giannini e i burocrati che hanno scritto il Ddl La Buona scuola non avevano messo in conto la portata della protesta che da marzo fino a oggi si è alzata dal mondo della scuola. Dal basso, ma fortissima.

Forse il presidente del Consiglio, il ministro dell’Istruzione Giannini e i burocrati che hanno scritto il Ddl La Buona scuola non avevano messo in conto la portata della protesta che da marzo fino a oggi si è alzata dal mondo della scuola. Dal basso, ma fortissima. Se il 5 maggio si è assistito alla più grande manifestazione di piazza del corpo docente da sette anni a questa parte, in rete la rivolta non è mai finita. Anzi. E ha cambiato anche pelle, rispetto a mobilitazioni simili scaturite in questi ultimi mesi del governo renziano. Per esempio sul Jobs act non c’era stato un attivismo simile.

La rete non viene usata come sfogatoio ma come strumento reale per incidere sul’opinione pubblica. I prof sono diventati dei bravi comunicatori, almeno questo Renzi lo deve riconoscere.

«Il nostro è un urlo accorato, “dal basso”, di professionisti e lavoratori che prefigurano uno scenario clientelare, privatizzante, aziendalistico dell’Istituzione che rappresentiamo», scrivono così all’indirizzo del presidente della Repubblica Mattarella i professori di diverse associazioni e comitati che si riuniscono sotto il nome La vera scuola gessetti rotti. Gli insegnanti lanciano un appello sulla incostituzionalità dell’articolo della Buona scuola che prevede i superpoteri del preside nella chiamata diretta dei docenti. La loro è la più affollata petizione (con 88mila firme) che sta popolando Change.org, la piattaforma di mobilitazione civile che sulla scuola in questi ultimi mesi ospita ben 50 petizioni.

A parlarne all’incontro La scuola che vogliamo promosso da Left e L’Asino d’oro edizioni è Luca Francescangeli direttore della comunicazione di Change.org. Cento milioni di utenti al mondo, oltre 3 milioni e mezzo in Italia. «Sul tema education in generale – dice – in Italia si sono mobilitati in 600mila. E sul Ddl circa 200mila». Oltre a questa ce n’è un’altra, spiega Francescangeli, promossa da un’insegnante, Emanuela Petrolati  che chiede il ritiro del Ddl.

Ha raccolto una buona quantità di firme, oltre 79mila. Un’altra ancora, promossa da Riccardina Sgaramella propone già il referendum abrogativo, e ha raggiunto oltre ventimila firme. Ce ne sono poi altre che riguardano l’assunzione dei precari, spiega Francescangeli, che sottolinea l’importanza di queste petizioni che non hanno un valore da un punto di vista legale, ma servono a dare «più potere contrattuale ai decisori pubblici che sono nel palazzo». È chiaro che se i parlamentari che si oppongono al Ddl  hanno alle spalle petizioni da 150mila firme, possono incidere nella modifica del Ddl.

Francescangeli cita infine un caso che rappresenta un esempio vittorioso: «La più grande raccolta firme, è quella organizzata da Libera e Gruppo Abele per la cancellazione dei vitalizi per i condannati per mafia e corruzione reati gravi. Allora furono raccolte grazie a Change.org, oltre 500mila firme. Questa petizione ha effettivamente portato alla modifica dei regolamenti parlamentari di Camera e Senato che parzialmente limita la possibilità di ottenere i vitalizi. Una vittoria ottenuta anche con la mobilitazione online», conclude Luca Francescangeli.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.