Una volta era tutta colpa della televisione, ora è tutta colpa dei social media. Gli anni passano ma i capri espiatori restano. Ieri il sociologo Umberto Eco, intellettuale avantgarde e stimatissimo, autore de Il nome della Rosa, ha gettato la sua goccia nel mare dell’indignazione verso gli usi e costumi dei social. «I social permettono alle persone di restare in contatto tra loro, ma danno anche diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel» ha dichiarato durante la cerimonia organizzata dall’ Università di Torino per conferirgli la laurea honoris causa in Comunicazione e Culture dei Media. Parole quelle nei confronti del pubblico social che a molti sono sembrate dure e scontate, soprattutto perché pronunciate da qualcuno che ha studiato con attenzione la televisione, quando quasi nessuno riteneva la televisione un qualcosa da studiare. Nel 1961, all’interno del suo famoso saggio Fenomenologia di Mike Buongiorno, Eco spiegava così il successo del presentatore sul piccolo schermo: «Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti».
La verità dunque è che il pubblico non è cambiato, è rimasto lo stesso che stava incollato alla tv dal 61 e descritto dallo stesso Eco. Solo che ora, dopo più di 50 anni di lusinghe da tv generalista, con i social ha più occasione di esprimere la propria opinione. E di farlo su qualsiasi tema e in qualsiasi momento, non solo quando si tratta di fare da contorno a qualche talk televisivo (Uomini e Donne docet). Eco ieri si è preso anche la briga di spiegare che: «Il grande problema della scuola oggi è insegnare ai ragazzi come filtrare le informazioni di Internet. Anche i professori sono neofiti di fronte a questo strumento». Non è vero. O meglio, questo non è il problema principale. Il problema è che quasi nessuno, in preda a chissà quale snobismo, insegna a ragionare sui mezzi di comunicazione, sulle potenzialità e sui rischi che si portano appresso. Ci schieriamo da una parte o dall’altra, entusiasti o detrattori, “apocalittici o integrati”, non esistono sfumature e differenze quando si parla dei media, siano essi giornali, social, o tv. I media sono sempre o buoni o cattivi: questo è il primo errore, perché impedisce di mettersi in discussione come “pubblico” , come “platea democratica”. Di comprendere i meccanismi comunicativi che si sviluppano da uno strumento e di lavorare perché siano portate avanti le buone pratiche piuttosto che le cattive.
Eco ha ragione: facebook e co sono il regno degli imbecilli, ma 100, 200, 300 anni fa quante persone avevano la possibilità di esprimersi liberamente. Quanti lo possono fare oggi in un paese per esempio come la Cina? È la democrazia bellezza. Poi, perché funzioni e non sia solo chiacchiera da bar, a tutelarla serve una scuola che insegni senza rifiutare il mondo che ha attorno. Lo sa bene anche Eco, anche se ieri sembrava averlo dimenticato.
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