A pochi giorni dal referendum greco proposto da Tsipras, i commenti di editorialisti e economisti sulle principali testate europee e americane. Dominique Strauss-Khan, Paul Krugman, Josep Stiglitz, Austan Goolsbee, ex consigliere economico di Obama, Maria Margaronis, pubblicata dal Guardian, sul Financial Times Walter Munchau, Luis Bassets per El Pais.

Tutti i grandi giornali del mondo si occupano di Grecia, del referendum e delle possibili conseguenze di una vittoria dei “Sì” o dei “No”. E molte autorevoli firme dell’economia internazionale sono estremamente critiche nei confronti dell’Unione europea. Alcuni se la prendono anche con quello che chiamano il populismo del premier greco Alexis Tsipras. Abbiamo selezionato qualche parere autorevole partendo proprio da un’opinione molto critica, quella di Luis Bassets pubblicata dallo spagnolo El Pais. “Il golpe anti-europeo di Tsipras rilancia la democrazia diretta e la piena sovranità, ma se i greci vogliono continuare a far parte della globalizzazione dovranno accettare di essere governati anche dall’Unione europea. In caso contrario avranno due opzioni: cadere nelle mani di un impero che funziona verticalmente, senza curarsi degli strumenti che usa e a-democratico come potrebbe essere la Russia, o affrontare la globalizzazione da soli, con il rischio di finire nel precipizio di depressione e povertà”.

Interessante da notare, i paesi sottoposti alla discutibile cura da cavallo dell’austerity sono anche quelli dove tutta la stampa importante bacchetta con più forza il governo greco. L’Italia è naturalmente tra questi. E lo stesso premier Renzi, che rilascia una lunga intervista al Sole24Ore tende a dare la colpa del precipitare della situazione al governo greco – pur criticando la linea tedesca dell’austerity e la scelta del presidente della Commissione Juncker di entrare a gamba tesa nella politica interna greca.

 

 

Sul francese Liberation si segnala questo testo autocritico pubblicato in rete dall’ex direttore del Fondo Monetario Dominique Strauss-Khan – in questo periodo di nuovo sotto i riflettori per le vicende legate alle accuse di abusi sessuali. DSK avanza alcune proposte: la Grecia non dovrebbe ricevere nuovi finanziamenti da Ue e Fmi, ma ottenere un allungamento della scadenza del debito e un suo massiccio ridimensionamento. DSK critica il carattere “inetto e disastroso degli aggiustamenti di bilancio troppo severi” che hanno caratterizzato la crisi europea e sostiene che “si continua a ripetere gli stessi errori”. Costringere il governo greco a cedere creerebbe un precedente tragico per la democrazia europea e potrebbe mettere in moto una reazione a catena incontrollabile”. Se in questa uscita di DSK ci sia da leggere anche un missile contro Christine Lagarde, che ha preso il suo posto al Fondo, lo possono dire solo quelli che seguono da vicino quello che avrebbe dovuto essere il candidato socialista alle scorse elezioni presidenziali di Francia.

Di cancellazione del debito parla anche l’editoriale della direzione del New York Times: “Date le enormi conseguenze di quello che sta per accadere, i greci meritano la possibilità di dire se vogliono o meno restare nell’euro (…) Il potere di rendere le cose migliori in ultima analisi, spetta alla zona euro e al Fondo monetario, entrambi hanno lanciato una campagna informale per influenzare il voto degli elettori greci, rendendo pubbliche le loro condizioni per il mantenimento del piano di salvataggio. Avrebbero un argomento più forte se promettessero anche di fare l’unica cosa che possa dare ai greci un reale incentivo a rimanere nell’euro e avviare vere riforme. Che è quello di cominciare a strappare un po’ delle loro cambiali”.

Qualche giorno sul Financial Times era Walter Munchau a disegnare alcuni scenari. “Ci sono due risultati probabili. Il primo è un regime a tempo indeterminato dei controlli sui capitali, forse con una ristrutturazione del sistema bancario come parte di un pacchetto più ampio di riduzione del debito. Ciò consentirebbe alla Grecia di restare nella zona euro”. Il secondo scenario è la Grexit. Il primo sarebbe preferibile ma il secondo è comunque preferibile all’accordo che Tsipras ha respinto, o al ritorno a un consenso pro-austerity. Munchau si poneva poi la domanda: Cosa succede se l’elettorato greco sceglie il Sì, ma la Grecia è lo stesso costretta ad uscire dalla zona euro perché creditori e BCE non lasciano altra scelta? “Questo è lo scenario più pericoloso perché implica che un’unione monetaria senza unione politica possa esistere soltanto in violazione dei principi fondamentali della democrazia”.

In molti, nel mondo anglosassone che insistono da tempo sull’errore che è stato fatto nel creare una moneta unica tra entità tanto diverse economicamente (e senza dotare l’Europa di istituzioni conseguenti). Tra questi c’è Paul Krugman, che nell’ultimo post sul suo blog scrive: “E’ facile perdersi nei dettagli, ma il punto essenziale ora è che alla Grecia è stata presentata una proposta prendere-o-lasciare indistinguibile dalle politiche che sono state imposte ad Atene egli ultimi cinque anni. Un’offerta che Alexis Tsipras non può accettare – e presumibilmente pensata proprio per quello. (…) L’obiettivo deve essere quindi proprio quello di farlo fuori, cosa che probabilmente accadrà se gli elettori greci” decideranno di votare Sì. (…) Non si tratta di punti di vista diversi, ma di potere – il potere dei creditori di staccare la spina all’economia greca, un potere che persiste fino a quando l’uscita di euro è considerata impensabile. Sarebbe dunque giunto il momento di porre fine a questo impensabilità. In caso contrario, la Grecia dovrà affrontare un’austerità e una depressione senza fine”.

Intervistato dal Washington Post, Austan Goolsbee, ex consigliere economico di Obama, uno dai toni moderati e tecnici, sostiene che ci siano solo quattro soluzioni di scuola in casi come quello greco: le prime due sono mobilità del lavoro e sovvenzioni permanenti – “due cose che abbiamo negli Stati Uniti, ed è per questo nessuno ha mai chiesto dopo l’uragano Katrina, se la Louisiana o il Mississippi avessero intenzione di abbandonare il dollaro. Abbiamo la mobilità interna e un’unione fiscale”. Oppure la Germania dovrebbe essere disposta a far crescere di quattro o cinque punti l’inflazione per un paio d’anni(…) Oppure la Grecia potrebbe abbassare il proprio costo del lavoro e far crescere la produttività”. La verità, spiega Goolsbee, è che solo l’ultima carta è nelle mani dei greci, che però è irrealistica e non porterebbe il Paese fuori dalla crisi. Senza uno sforzo collettivo europeo simile a quello avvenuto con la Germania Est, non se ne esce, sembra dire Goolsbee. Che ammonisce sul pericolo contagio, magari a medio termine e aggiunge: “Se la Grecia tornasse alla propria valuta separata e, a due anni da oggi e dopo la svalutazione, tornasse a crescere a fare bene, la lezione per il resto della zona euro potrebbe essere molto diversa da quella che appare oggi”. Anche per questo “si ha la sensazione che i governi dei paesi creditori vogliono che il trauma greco sia il più doloroso possibile, in modo che nessun altro sia tentato a imitare Atene. Vogliono che sia brutto e potrebbero riuscire a renderlo tale. Ma c’è una possibilità che a due anni da oggi, la realtà non sia poi così brutta”.

 Il premio Nobel Joseph Stiglitz parla di crisi democratica. “E’ abbastanza certo, quello che stiamo osservando (…) è l’antitesi della democrazia: molti leader europei vogliono vedere la fine del governo di sinistra di Alexis Tsipras. Dopo tutto, è estremamente scomodo dover trattare con un governo tanto contrario ai tipi di politiche che hanno fatto aumentare le disuguaglianze in tanti Paesi avanzati, un governo impegnato a ridimensionare il potere sfrenato dei più ricchi”. A Bruxelles e Berlino “Sembrano credere che a forza di bullismo si possa far capitolare il governo greco e fargli accettare un accordo che viola il mandato ricevuto dai cittadini”.

Prima di chiudere con la appassionata opinione della corrispondente del mensile della sinistra americana The Nation, Maria Margaronis, pubblicata dal Guardian notiamo che sullo stesso quotidiano britannico Daniel Howden accusa tutti i sostenitori del No di non capire nulla della situazione greca e di essere solo dei tifosi della sinistra radicale. “In pochi immaginavano che si sarebbe davvero arrivati a questo. Ma ci siamo e, a meno di un miracolo, una scelta terribile dovrà essere fatta: anni di lento soffocamento o un salto in un mare sconosciuto e profondo. Non c’è modo di prevedere cosa accadrà con il voto referendario. Un tempo l’Europa era una un continente, una cultura, una tradizione. Nel tentativo di porre fine alla sua storia di guerre nazionali è diventato un club di soci. Ora si sta comportando più come la “Europa Spa”, anteponendo i numeri alle persone, affondando il coltello nel proprio cuore. Come la piccola figura sul fondo del vaso di Pandora, una speranza segreta rimane: forse l’Europa imparerà qualcosa da questa catastrofe. La Grecia, però, rimarrà divisa per molti anni a venire”.

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