Il video del monologo di Left, letto da Miriana Trevisan

«Miriana, entra, siediti, chiudi la porta e accendiamo il ventilatore in sala così stiamo più fresche. Lo so che vuoi farmi delle domande… a nonna, tu sei sempre stata curiosa. Però abbi pazienza, sarò lenta, ma ho solo
95 anni». Sgrana gli occhi aspettando la mia reazione, ridiamo. 
«Il nonno m’è piaciuto appena l’ho visto! L’ho incontrato il giorno di san Luigi il 21 giugno del ’41», mi ripete la sua cantilena d’amore come una bimba che recita una preziosa poesia.
«Era bellissimo e allegro, vieni che ti mostro la foto che avevo lasciato al nonno quando andai via da Napoli, dopo appena tre giorni. Perché mia madre venne a sapere che mi girava intorno un uomo e mi fece rientrare subito a casa a Torre del Greco; nessuna delle sue figlie si doveva sposare finché non fosse rientrato mio fratello prigioniero di guerra in Austria. Dietro la foto scrissi il mio indirizzo e lui non vedendomi a scuola mi scrisse immediatamente. Voleva conoscere i miei. Quando lo conobbero lo amarono subito, il Veneziano che ride e canta le opere liriche. Ci siamo sposati dopo un anno che il nonno faceva spola tra il mio paese e Napoli dove continuava a lavorare come militare alla croce rossa, aveva la fascia della Croce Rossa, sai”. Mi dice con orgoglio.
«Ci trasferimmo a Napoli e andammo a vivere da ospiti sopra l’osteria che apparteneva a tre signore orfane, si trovava vicino all’ospedale e io senza che neanche me lo chiedessero le aiutavo tutto il giorno e di notte lavoravo negli ospedali per assistere i malati senza parenti. Non c’era il contratto o l’accordo scritto; si faceva quello che c’era da fare. Rimasi incinta di tuo padre». Pausa. Forse si mette a piangere.
Squilla il telefono, è la teleassistenza: nonna parla con loro come se fossero amici di vecchia data. Torna, si siede e sorseggia l’acqua. Poi si ricorda qualcosa, e mi dice: «Devi chiamare per me il tuo amico, Angelo non riesco a capire dove sia il numero e poi sono troppo lunghi i numeri dei cellulari e sbaglio i tasti. Devi dirgli che non si deve fare problemi e che può venire anche con il suo fidanzato: casa mia è sempre aperta per le persone buone e pulite». Lo farò sicuro. «Sarei andata ovunque con tuo nonno, ci trasferimmo a Venezia dove aveva nove fratelli di cui una gemella. Era gente buona, erano comunisti, giravano con la bandiera, il nonno cominciò a lavorare sotto il portico della grande casa in campagna e diventò un artista del legno. Sai è strano, io e tuo nonno siamo vissuti più a lungo di tutti i nostri fratelli nonostante fossimo tutte e due di salute precaria, lui poi si ammalò anche con l’altra gamba e io dovetti fare un grosso intervento al naso e così decidemmo di tornare a Napoli poiché il lavoro in campagna e la lontananza dagli ospedali attrezzati per noi era diventato un problema».
Io me lo ricordo il nonno che sorrideva e si levava gli occhiali spessi, metteva la matita da falegname appoggiata all’orecchio e saliva lento la vecchia e stretta rampa di scale, poiché le gambe ormai erano diventate rigide. Ricordo il rispetto per la tavola: il nonno prima di sedersi occupava il bagno per mezz’ora e si sedeva a tavola che profumava di sapone. «Ti ricordi la signora Carmela? Era stato arrestato il marito e noi per aiutarla la facevamo mangiare da noi e poi cercavo di aiutare i figli che si erano persi con le droghe e lei piangeva tanto. Ora vive con la figlia, mi chiama spesso e io vorrei starle vicino ma abita troppo lontano. E Sergio te lo ricordi? Era il bambino che viveva nella casa di fronte al nostro balconcino, la mamma malata, i fratelli drogati e lui a cinque anni non riusciva ancora a parlare e io lo curavo come potevo. Ora vive in comunità mi chiama spesso, non parla ancora bene, ma io lo capisco».
Sì nonna, ricordo che spesso venivano dei bambini o delle mamme, che non li lasciavi mai andar via senza qualcosa da mangiare e che davi consigli sul lavoro che per te era la soluzione a tutto. «Mi domandi se sono stata felice? Sì. Lo sono ancora, non mi sono mai sentita sola. Mi chiamano ancora da tutta l’Italia, mi vengono a trovare. Sono felice così».
«Ora dimmi, com’è andato il viaggio di Carlo con gli immigrati? Digli che sono orgogliosa di lui e che se fossero qui sotto casa mia li accoglierei tutti nonostante l’età, scenderei di persona a prenderli: il nostro dovere è aiutarli come io e il nonno aiutavamo i soldati venuti dalla guerra».
«Io ho fatto la seconda elementare», mi dici sempre. «Siamo gente semplice». Forse dovremmo diventare semplici come te.

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