Sono le 10:25 del 2 agosto 1980, la sala d’attesa è affollata. Intorno il caos della stazione ferroviaria di Bologna: il caldo, la fretta di partire, le valige, una in particolare abbandonata su un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest. Un clic, poi l’esplosione. 23 kg di esplosivo che travolgono tutto e tutti, i detriti e l’onda d’urto arrivano addirittura a colpire il treno Ancona-Chiasso fermo al binario 1 in attesa di ripartire. Muoiono 85 persone, in 200 rimangono feriti. Inizia così una degli episodi più terribili che segnano la storia della democrazia italiana sulla quale ancora permangono ombre.
La strategia della tensione. La strage compiuta alla stazione Bologna è uno dei momenti più cupi della storia del dopoguerra e l’ultimo e il più grave atto terroristico compiuto nel Paese negli ultimi 50 anni. L’attentato è indicato come uno degli ultimi atti della strategia della tensione, quel periodo politico e sociale tormentato iniziato con la strage di Piazza Fontana avvenuta il 12 dicembre 1969 con l’esplosione di una bomba piazzata nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, nel pieno centro di Milano.
Il processo. Sui reali colpevoli non è mai stata fatta piena chiarezza, nel novembre 1995 dopo tre gradi di processo, la Corte di Cassazione confermò la condanna, quali esecutori dell’attentato, di due esponenti dei Nar, i militanti neofascisti Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro che, pur avendo confessato decine di omicidi di stampo politico, si sono sempre dichiarati innocenti riguardo alla strage di Bologna. A questa sentenza si arrivò anche grazie alla spinta civile dell’associazione dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, ma con estrema lentezza e difficoltà a causa di una serie continua di depistaggi e una complicata e discussa vicenda politica e giudiziaria.
Il movente e i mandanti. La sentenza della Corte di Cassazione rileva che, se anche gli esecutori per la Legge sono accertati, non sono chiari invece i moventi e i mandanti. Svariate sono state le ricostruzioni che vanno dall’ipotesi che si trattasse di atti intimidatori dei gruppi armati neofascisti a causa dei processi relativi alle stragi dell’Italicus e di Piazza Fontana, altri ricollegano la strage alle azioni perpetrate dalla loggia P2 presieduta da Licio Gelli, altri ancora vedono la strage come un diversivo per distogliere l’attenzione dal crack della Banca Ambrosiana e dal caso Sindona, dall’affacciarsi di Cosa Nostra e della trattativa Stato-mafia. O addirittura un diversivo per una matrice “atlantica” dell’attentato che sarebbe servito a sviare l’attenzione dai fatti di Ustica.
La commemorazione e la petizione. Viste le ombre che ancora avvolgono i fatti le celebrazioni per l’anniversario della strage sono spesso accompagnati da tensioni e polemiche. Domani alle 10.25 è prevista la tradizionale sfilata in via Indipendenza, davanti alla stazione di Bologna, sul Palco per la commemorazione il presidente del Senato Pietro Grasso. Prenderà la parola anche l’onorevole Paolo Bolognesi, deputato Pd e presidente dell’associazione famigliari delle vittime. Proprio Bolognesi ha avuto parole dure nei confronti del governo Renzi e ha lanciato una petizione su avanza.org chiedendo di rispettare gli impegni sulla desecretazione degli atti, i risarcimenti e l’approvazione della legge che introduce il reato di depistaggio, per cui l’iter è stato avviato proprio ieri in commissione giustizia al Senato. Queste in particolare le parole con cui Bolognesi commenta la direttiva emanata dal governo Renzi sul segreto di Stato e sull’apertura degli archivi:
«Nell’aprile 2014 arriva la direttiva che apre gli archivi di ministeri e servizi segreti e li obbliga a depositare i documenti sulle stragi all’Archivio di Stato. Un’operazione di verità, si dice. Non avviene. L’intenzione politica è buona, ma il comportamento degli apparati no e per un anno – come associazioni – abbiamo ripetuto inutilmente al Governo che ci sono alcune correzioni da fare. In sostanza è come se si fosse detto al ladro di consegnare la refurtiva e sperato che lo facesse. Infatti, gli stessi apparati che fino ad oggi hanno tenuto ben chiuse le carte sulle stragi, sono gli stessi a cui la direttiva affida il compito di renderle pubbliche. Senza nessun controllo esterno, lasciando a ministeri e servizi segreti la possibilità di preselezionare gli atti e scegliere cosa versare. Senza che si conosca l’elenco dei documenti effettivamente presenti negli archivi. Non era questo l’obiettivo della direttiva e chiediamo che si migliori perché gli apparati non la svuotino del suo significato con la strategia del pacco vuoto».
All’appello ha aderito immediatamente anche Salvatore Borsellino che in merito ha dichiarato: «Questo governo dimostri con i fatti e non soltanto con le parole di volere la giustizia e la verita” per le innumerevoli stragi di Stato che hanno segnato da sempre la vita del nostro Paese»
Dopo 35 anni, la mente corre a quell’orologio della stazione. Fermo immobile, le lancette ostinate e fisse sulle 10.25 a ricordarci che siamo rimasti lì, senza risposte, senza possibilità di rimetterci in moto e conoscere la verità sui fatti. La domanda è: per quanto tempo ancora?
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