Il 2015 passerà alla storia come l’anno della fotonica. Che manderà in pensione l’elettronica aprendo una nuova fase di sviluppo tecnologico. Il futuro sarà un nuovo Rinascimento dominato dalle leggi scientifiche dell’ottica.

All’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, ne sono convinti: il 2015 passerà alla storia come l’anno d’inizio di una nuova era, la fotonica, che chiuderà la vecchia era dell’elettronica e consentirà una nuova fase di sviluppo tecnologico. I selfie, gli autoritratti che sciamano sui social network, realizzati con i sensori ccd delle fotocamere digitali compatte, non sono che la versione pop e ancora piuttosto rozza di questa nuova era che ha nei laser, nelle fibre ottiche o nei pannelli fotovoltaici le prime dimostrazioni delle sue enormi potenzialità.

Nell’era della fotonica, come suggerisce il nome, i fotoni sostituiranno gli elettroni come particelle fondamentali delle tecnologie più avanzate. E poiché i fotoni sono “atomi di luce”, ecco che l’Unesco ha eletto il 2015 “anno internazionale della luce”.

Il futuro, dunque, sarà una sorta di nuovo Rinascimento, dominato dalla luce e dall’applicazione (anche nelle arti?) delle leggi scientifiche dell’ottica. Salvo che quella geometrica, applicata da “scienziati artisti” come Piero della Francesca, darà sempre più spazio l’ottica quantistica, che ha tra i suoi “scienziati artisti” Richard Feynman, premio Nobel per la fisica nel 1965. Ma che la luce sia ancora (sia più che mai) al centro dell’interesse della scienza di punta, lo dimostra il fatto che l’ultimo dei premi Nobel per la Fisica, quello del 2014, è stato vinto dagli scopritori della “luce blu” che consente la messa a punto dei Led che utilizziamo nei nostri smartphone e nei nostri tablet (peraltro vetuste tecnologie elettroniche) e che hanno mandato in pensione le vecchie lampadine a incandescenza.

Ma è fin dai suoi primi vagiti che la scienza è “scienza visuale”: scienza della luce. E, infatti, uno dei primi e dei più grandi scienziati di ogni tempo, Euclide, attivo ad Alessandria d’Egitto tra il IV e il III secolo a.C., con la “scienza della luce” inaugura la scienza tout court. E non solo quando scrive l’Ottica, il pri mo libro dedicato alle leggi che governano la trasmissione della luce. Ma anche quando re dige gli Elementi, considerato l’atto fondativo della geometria moderna.

E cos’è la geometria se non “matematica visuale”, studio delle forme e delle loro relazioni nello spazio? In realtà anche Aristotele, più grande di Euclide di quindici anni o poco più, si era interessato alle leggi fisiche e alla fisiologia della visione.

Sostenendo che per vedere un oggetto occorre che tra l’occhio e l’oggetto stesso sia presente un mezzo trasparente, come l’aria, “pieno di luce”, perché al buio l’occhio non vede. C’è in questa proposta del filosofo di Stagira una prima riflessione sulla “natura della luce”: non sostanza in sé, ma accidente delle sostanze trasparenti come l’aria o l’acqua. Già, ma cos’è la luce? È dalle risposte date a questa domanda nel corso della sua storia che la fisica ha determinato gran parte del suo stesso progresso. E dalle risposte che continuerà a dare dipenderà il suo futuro e quello delle tecnologie fotoniche.

Il primo a replicare ad Aristotele è proprio Euclide. La luce non è negli oggetti che vediamo, ma nell’occhio che vede.
È lui, l’occhio, che emana raggi di luce che raggiungono l’oggetto illuminato. La visione altro non è che il ri torno al nostro occhio dei raggi riflessi dagli oggetti che ne vengono colpiti. Poiché i raggi emanati e quelli riflessi si propagano in linea retta, ecco che noi possiamo elaborare leggi matematicamente rigorose dell’ottica. Euclide non è il solo nel mondo ellenista a occuparsi di luce. L’Ottica di Claudio Tolomeo, vissuto quasi mezzo millennio dopo Euclide, ha influenzato a lungo la cultura islamica e occidentale. Ma se lo studio pratico della trasmissione della luce ha coinvolto il mon do intero, è solo nel IX secolo che qualcuno è in grado di apportare novità sulla sua na tura. È alKindi il “primo filosofo islamico” che verifica per via sperimentale quale tra le teorie proposte dei due greci sia la migliore per spiegare i fatti noti. AlKindi, trova che la teoria di Aristotele è incapace di spiegare l’in fluenza tra percezione dell’oggetto e angolo di osservazione, mentre la teoria geometrica di Euclide spiega tutti i fatti noti e, dunque, deve essere considerata la migliore.

La luce, dunque, non è un accidente. Al Kindi, insieme a un altro scienziato islamico, Alhazen, può essere a giusta ragione conside rato uno dei padri nobili dell’ottica scientifi ca. Certo entrambi influenzano il pensiero e l’opera dei primi filosofi naturali apparsi in Europa nel Duecento. In particolare di quel gruppo di francescani, chiamati per l’appun to “i filosofi della luce”, che a Oxford danno vita a una lunga e proficua stagione di studi sull’ottica. Il primo è Roberto Grossatesta: la luce, sostiene, è una forma di materia purissima: «prima forma della materia prima cre ata» che si diffonde in maniera istantanea e sferica. La diffusione della luce può essere in dagata con i metodi, esatti, della geometria. Anzi, è possibile fondare l’intera descrizione fisica del mondo sull’ottica geometrica. Un suo discepolo, Ruggero Bacone, lo corregge in un dettaglio: la luce si muove a una veloci tà certo molto grande, ma finita.

Dopo la “grande crisi del Trecento”, il Rinascimento è segnato dal “ritorno della luce”. E non solo in senso metaforico. La ricerca scientifica riparte in Europa nel XV secolo con gli studi sulle leggi geometriche della prospettiva realizzati da Leon Battista Alberti, Luca Pacioli, Piero della Francesca e sulla loro concreta applicazione a opera di Brunelleschi, Donatello, Masaccio. Sono loro a dare inizio a quella fase della ricerca europea che è stata definita, non a caso, “scienza visuale”. Almeno due secoli all’insegna della luce che preludono alla rivoluzione scientifica del Sei cento, che molto deve al miglioramento, nel 1609, del telescopio da parte di Galileo. Una novità che consente di vedere nei cieli, lette ralmente, “cose mai viste prima”. Ed è accompagnata dall’invenzione del microscopio che, a sua volta, consente di vedere “cose mai viste prima” nel mondo microscopico. Queste sono innovazioni di tecnologia ottica che, per dirla con Ernst Cassirer, “dividono le epoche”. È anche in seguito a queste tecnologie che riprende la riflessione scientifica sulla natura ambigua della luce. La luce è fatta di onde, propone Christiaan Huygens nel 1678.

Niente affatto, risponde Isaac Newton, con la sua Ottica del 1704: la luce è costituita di minuscole particelle che si propagano in linea retta. Per nulla, ribattono a inizio Ottocento Thomas Young e AugustinJean Fresnel, che propongono una nuova teoria, ondulatoria, della luce. L’idea che la luce sia una forma di energia radiante emanata dalla materia viene codifi cata nella seconda parte del XIX secolo da Ja mes Maxwell, in quella sua famosa teoria che unifica ottica, elettricità e magnetismo. Sembra la parola tombale sull’antica questione: la luce è un’onda.

Ma passano pochi anni ed ecco che, nel 1905, Albert Einstein dimostra che tutti e nessuno hanno ragione: la luce ha una doppia e ambigua natura. Costituita com’è da “quanti di luce”, oggetti discreti ma privi di massa, che si comportano sia come onde che come corpuscoli. Più tardi i “quanti di luce” verranno chiamati fotoni. Einstein fonda la sua teoria della relatività ristretta su un postulato ottico: nulla può viaggiare a velocità superiore a quella della luce.

Dieci anni dopo, nel 1915, con la teoria della relatività generale, Einstein dimostra che i fotoni e gli oggetti materiali dotati di massa non si muovono nello spazio e nel tempo, ma con la loro presenza e la loro dinamica determinano la stessa geometria dello spaziotempo. La riflessione sulla natura ambigua della luce e sul suo comportamento ha generato una nuova e inattesa visione dell’universo.

E non è finita. Con gli sviluppi della fisica quantistica, a partire dagli anni 20, si scopro no le caratteristiche dell’entanglement: due fotoni possono restare legati anche a distanza e l’uno può “sapere” istantaneamente cosa fa l’altro infrangendo la legge che impedisce di trasmettere azioni e informazioni a velocità superiori a quelle della luce.

La luce che si fa beffe di se stessa.È il preludio di quel “teletrasporto” trasmissione istantanea a distanza considerato un assurdo ma dimostrato per via sperimentale prima da Alain Aspect (per di stanze di pochi centimetri) e poi su da Anton Zeilinger, per distanze di centinaia di metri a cavallo del Danubio. Di recente, nel 2012, la notizia di un nuovo successo: il “teletrasporto” degli stati di fotoni ha funzionato su una distanza di 143 chilometri, tra le isole di La Palma e Tenerife nell’arcipelago delle Canarie. Controllando la natura ambigua della luce i fisici hanno realizzato oggetti nuovi e già di largo impiego, come i laser e le fibre ottiche. Ma, forse, nella nuova era fotonica la nuova frontiera tecnologica sarà il controllo di un apparente assurdo: il “teletrasporto”, l’azione istantanea a distanza tra “quanti di luce”.

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