Chi sono i community organizers? E come hanno fatto migliaia di lavoratori poveri, di fast food e megastore, a unirsi contro le corporation, per rivendicare diritti e 15 dollari l’ora?

“Le proteste, gli scioperi, il lavoro sui social media compromettono l’immagine del gruppo e possono avere effetti economici negativi”. Quella che avete appena letto è la sintesi di alcune frasi contenute nel rapporto 2013 di McDonald’s agli investitori. Negli Stati Uniti da trent’anni è in corso un braccio di ferro: quello tra la grande ricchezza, le corporation, le banche e la finanza da un lato e la middle class e i poveri dall’altra. I primi per molto tempo hanno vinto quasi senza trovare resistenza. Poi è venuta la crisi e il clima politico è cambiato, è cresciuta la capacità della società di organizzarsi per modificare il contesto. Il lavoro mal pagato e senza diritti, né maternità, né ferie, né malattia, è cresciuto molto, sono aumentati gli addetti nelle pulizie, nelle cucine, nei megastore e nei grandi supermercati, nel lavoro di cura. Spesso con salari al di sotto della povertà. Lo scorso 15 aprile in centinaia di città americane, migliaia di lavoratori hanno manifestato per chiedere l’aumento della paga minima oraria fino a 15 dollari. Erano addetti alle pulizie, lavoratori dei fast food e delle catene di negozi, assistenti domiciliari. Da dove venivano e come è stato possibile che persone che lavorano in ambiti tanto diversi si siano organizzate e abbiano portato avanti una campagna tanto efficace e visibile?

Prendiamo le lavoratrici domestiche: impiegate che non vedi, completamente prive dei diritti di base e con salari talmente bassi – la media è 9 dollari l’ora – che il 30 per cento di che lo fa (quasi tutte donne) è costretto a ricorrere all’assistenza pubblica dei food stamps per avere abbastanza da mangiare. Ovvero lo Stato si fa carico di dare da mangiare ai working poors, perché i datori di lavoro scelgono di non pagare abbastanza. E poi ci sono gli abusi e le truffe: le immigrate pensano spesso di partire per gli Usa come insegnanti e si trovano con 10mila dollari di debito a badare a un malato terminale. È il caso di Lourdes Balagot, filippina, oggi membro della National domestic worker alliance (Ndwa). A leggere il rapporto della Ndwa, basato su 2100 interviste a lavoratrici, si capisce quanto sia difficile intercettare queste lavoratrici. L’unica è usare il passaparola, incontrarle nelle chiese e nelle comunità. 190 domestiche intervistatrici e 30 community organizers hanno condotto l’indagine in 9 lingue. Il lavoro di questa rete produce risultati legislativi e di visibilità: la leader della Ndwa Ai-Jen Poo è entrata nella classifica delle 100 persone più influenti di Time, nel 2012, la California ha adottato una legge di protezione del lavoro domestico, e i sindacati tradizionali hanno cominciato a riconoscere che quello è un campo su cui lavorare.

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(Chi beneficerebbe dell’aumento della paga minima oraria?

dell’Economic Policy Institute,il think-tank che più fornisce argomenti scientifici alla battaglia per l’aumento della minimum wage) 

C’è voluto del tempo, però: i primi vagiti della campagna risalgono al primo Social Forum statunitense. Atlanta, giugno 2007. Campagne come queste devono usare strumenti vecchi e innovativi, andare a cercare il lavoratore in luoghi non scontati, comunicare, dialogare con le istituzioni. «Il livello di sindacalizzazione è così basso in questo paese, che gruppi comunitari, chiese, comunità locali che si organizzano sono cruciali, così come le campagne nazionali come Fight for 15, che chiede una paga federale oraria di 15 dollari l’ora», spiega a Left Erica Smiley, campaign director di Jobs with Justice, ombrello che raccoglie decine di gruppi di pressione: «Nel mondo del lavoro in cui viviamo, così diverso dal passato, servono istituzioni flessibili che consentano di porre richieste, firmare accordi collettivi, e determinare avanzamenti legislativi o qualsiasi altra cosa che faccia crescere i diritti e amplifichi la voce dei lavoratori non coperti dalla contrattazione sindacale tradizionale. Per questo il ruolo dei leader comunitari o di quartiere, dei religiosi o dei community organizers è cruciale».


 

Se il salario minimo orario avesse seguito l’aumento della produttività del lavoro registrata negli Stati Uniti tra il 1979 e oggi sarebbe di 18 dollari l’ora. Invece il salario medio è di 10,89 dollari l’ora, e quello minimo rimane intorno ai 7,25. Secondo i calcoli dell’Economic policy institute, in 30 anni le paghe più basse sono scese del 5 per cento, mentre quelle più alte sono salite del 41 per cento. Negli Usa, nel 2013, i lavoratori a paga minima oraria erano il 4,3 per cento del totale, il 14 per cento è impiegato nel commercio, metà nella ristorazione.

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 Come Martin Rafanan, pastore luterano e coordinatore di uno dei gruppi di lavoro di Jobs with Justice in Missouri, che ci spiega come la crisi abbia avuto un effetto dirompente sul segmento basso del mercato del lavoro e come le condizioni di vita siano peggiorate «e rimangano intollerabili per molti lavoratori». «Grazie alle campagne di questi anni abbiamo ottenuto progressi nella circolazione delle informazioni sulle discriminazioni sul lavoro e anche diversi aumenti del salario minimo orario a livello locale. Ciò detto, il lavoro da fare per Fight for 15 è ancora molto». Il lavoro di Rafarian, che organizza la mobilitazione della società a sostegno di chi decide di scioperare, spiega bene una delle caratteristiche di queste campagne: «I lavoratori spesso non sono organizzati e così, quando scioperano o chiedono un aumento hanno bisogno della protezione della comunità: se la loro protesta produce rappresaglie di qualche tipo, parliamo con i manager o organizziamo proteste e boicottaggi. Io organizzo il clero locale per svolgere questo lavoro». Per cambiare la situazione in America, insomma, servono la mobilitazione di chi lavora, una pressione sulle imprese che pagano poco, e una pressione sulle istituzioni perché impongano delle regole. E poi serve informare, fare in modo che l’opinione pubblica si renda conto di quanto grande sia la questione e di quanto poco serva per cambiare le cose.

Workers Rally in New York for Pay Raises and Fair Labor Practices Workers Rally in New York for Pay Raises and Fair Labor Practices

Sono azioni che richiedono capacità organizzative, figure professionali specializzate e leader locali appassionati. Sindacalisti, preti e pastori, professori, giornalisti. Community organizers. I soldi, per pagare uno staff, si trovano: sono soldi spesi per fare politica, sebbene fuori dalle istituzioni. L’organizzazione è fondamentale: piccoli gruppi che puntano in una sola direzione, con dei tempi dati, degli obbiettivi da raggiungere, un calendario che dura mesi se non anni. «Su alcuni temi si lavora da almeno 5 anni e siamo riusciti a creare un’idea diversa di cosa significhi “basta!”», ci dice ancora Erica Smiley, «prima Occupy, poi la battaglia dei lavoratori dei Fast Food Forward, ora Fight for 15, sono momenti in serie, diversi, che hanno generato un unico contesto». Il sistema è lo stesso di altre campagne di lungo periodo, vincenti, come quella sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, legalizzato in Massachusetts nel 2004 e poi in 38 Stati (tanto che a fine mese la Corte Suprema potrebbe sancirlo come diritto costituzionale), e come quella sulla marijuana, legale per uso medico o ricreativo in ventitré Stati.

 

Ora è giunta la volta delle battaglie legate al lavoro cercando di tenere insieme i più diversi settori: «A San Francisco stiamo cercando di ottenere diritti per chi lavora nel commercio: chiediamo cose tipo comunicare gli orari almeno due settimane prima e, se questi cambiano in corsa, prevedere soldi in cambio di flessibilità. In quella città abbiamo ottenuto una legge che tutela i lavoratori del commercio e stiamo lavorando per fare in modo che esistano strumenti di monitoraggio sulla sua implementazione. In Florida stiamo lavorando per tenere assieme le esigenze di aumento della paga dei dipendenti dei trasporti, con quelli dei pendolari sulle tratte, gli orari, le tariffe». A parlare è ancora Smiley. Funziona. Il rapporto 2014 di Jobs with Justice è significativo: leggi sulla malattia retribuita in Massachusetts, aumento della paga minima oraria per i 12mila assistenti domiciliari del Missouri, proteste davanti a 90 megastores di Wal-Mart per chiedere aumenti delle paghe e diritti sindacali. Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione 2015, anche il presidente Obama si è fatto portavoce delle istanze di queste campagne chiedendo al Congresso di alzare la minimum wage, di introdurre maternità e malattia retribuite. Anche Hillary Clinton ha sostenuto che sarebbe il caso di arrivare a un minimo di 15 dollari l’ora.

(da Left numero 22)

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