E niente. Deve essere qualcosa che ha a che vedere con la genetica oppure un meccanismo preimpostato di autodistruzione quello che sta lasciando gocciolare i referendum come se fossero semplicemente un rubinetto che perde nel bagno di Pippo Civati. Forse davvero a sinistra l’incapacità di organizzare gli intenti ha messo questo Paese “in pausa per vent’anni”, come ha detto il premier Matteo Renzi. Riferendosi a Berlusconi, lui. Va bé.
Riepilogando: ‘Possibile’, la creatura politica organizzata da Pippo Civati (e mica solo lui, con coordinamenti in tutta Italia ma la personalizzazione è un gioco semplice per capirsi) ha preparato 8 quesiti referendari da presentare entro la fine di questo mese. Le motivazioni sono abbastanza lapalissiane: senza votazioni in vista il modo più concreto per “fare politica” è quello di mettere una firma contro le decisioni non condivise del governo per cui si va da dall’eliminazione dei capilista bloccati, all’abrogazione dell’Italicum, all’eliminazione del potere di chiamata del preside “manager” nella riforma scolastica, l’eliminazione delle trivelle in mare, passando per l’ambiente fino all’abolizione del demansionamento e la reintroduzione dell’articolo 18 nel Jobs Act. Insomma: un referendum su molte delle questioni che hanno scaldato la politica in questi ultimi anni e che hanno acceso indignazione varia non solo a sinistra.
Come sempre, per fortuna, una parte del Paese è intervenuta nel dibattito referendario criticando alcune scelte nella formulazione dei quesiti (quello sulla scuola, ad esempio) oppure dichiarandosi in disaccordo con alcuni punti: una pratica sana di dialettica politica che è una primavera rispetto alla banalizzazione generale. Altri semplicemente si sono armati di fotocopie e banchetto e hanno deciso di metterci il proprio tempo, oltre che la firma, passando un’estate referendaria. E fin qui ci siamo.
Poi ci sono i fiancheggiatori dell’usura interna. I peggiori. Quelli che “i referendum d’estate non si possono fare” e poi ti accorgi che sono gli stessi che erano in piazza a raccogliere firme l’estate scorsa; quelli che “i referendum sono una fuga in avanti” che soffrono di vertigini ogni volta che si osa qualcosa di più di un’assemblea, quelli che “i referendum si devono fare insieme” e poi capisci che reclamano un simbolino in fondo ai moduli; quelli che “non firmo perché tanto non passano” come se la giustezza stia solo nella vittoria e quindi andrebbe buttata via tre quarti di storia della sinistra nel mondo; quelli che “i referendum sono di Civati” e poi tirano la sottana a Renzi per un apparentamento in qualche elezione locale e infine ci sono i più miseri, quelli che “aiutano ma anche no”, sono contro il Jobs Act, non possono permettersi di non fingere di appoggiarli ma non gli scappa nemmeno un mezzo autenticatore in appoggio.
A guardare la scena da fuori si direbbe che siano le tre scimmiette che si spulciano le scapole mentre dovrebbero pensare a come organizzare la notte. Una cosa così: mentre Renzi e i suoi insistono nella comunicazione muscolare del “fare” di là, a sinistra, c’è l’ennesima coltre di palude piegata su se stessa.
Ora che siete rientrati dalle vacanze, che avete tutti i buoni propositi di ogni settembre di ogni anno, fatevi un regalo che può solo farvi bene: leggete il materiale e decidete se vale la pena spegnere Facebook per un’ora e prendere la bici fino al banchetto più vicino, oppure scrivetelo forte perché non siete d’accordo e sottolineate con tutto il pennarello rosso possibile gli errori compiuti. Collaborate, litigate o osteggiate con il piacere di stare da un parte, piuttosto che da parte. Guardando lì sopra quelli che si fondono le meningi per darvi il “prossimo nome” e il “prossimo simbolo” verrà da sorridere anche a voi. Sicuro.
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