Valeria Golino ha vinto la Coppa Volpi e Left, l’8 agosto, le aveva dedicato la copertina per parlare di Venezia, del Festival, del suo personaggio. Ve la riproponiamo, contenti che abbia portato fortuna
Settantacinque film e non sentirli. Non saprei come altro descrivere la sensazione di nessun “peso” addosso, di nessun artificio nella voce e nel pensiero. Valeria Golino è diretta, esige il tu, ti intervista mentre la intervisti. Ha una risata che ti mozza il fiato e delle pause infinite. Ti avvolge e ti porta via da ogni manierismo intellettuale, inconsapevole – quasi – di rompere ogni cliché possibile. Difficile con lei passare dall’ascolto della registrazionealla scrittura. Sembra che ogni sua “piega” umana si perda nella linea dello scritto, ma così è.
Figlia di una pittrice greca e di un germanista italiano è cresciuta tra Napoli e Atene e vissuta tra Stati Uniti, Italia e Francia. Oggi è la protagonista del film di Giuseppe Gaudino, Anna Ruotolo Per amor vostro, in concorso a Venezia. Una donna “ignava”, una gobbista della televisione, precaria, madre di tre figli e moglie di un usuraio. La storia di una donna che si perde, fino ad un gesto «folle» che la libera.
Chi è Anna?
Anna sfugge alle definizioni. In questo senso è stato un personaggio molto rischioso per me, come per chiunque altro l’avesse fatto. Nel pensiero degli autori lei è tante cose allo stesso tempo: non puoi definirla una vittima, una buona, una cattiva, una triste o una allegra. Ci sono personaggi che hanno un profilo molto evidente, netto, invece lei è come se fosse mille donne.
Il regista la definisce una donna dominata dall’ignavia.
Quello sicuramente, è il tema del film.
Il riferimento a Dante è esplicito. Gli ignavi sono quelli che non fanno né bene né male, che «mai non fur vivi», che «visser senza infamia e senza lodo»…
Sì, è così. Gli ignavi sono quelli che passano sopra, che non vedono, che fanno buon viso a cattivo gioco, più o meno coscientemente. Di ignavia ci macchiamo tutti, credo, in vari punti della nostra vita. È una cosa molto umana.
Cosa vuol dire nel film liberarsene?
Per amor vostro è un film intimo, un percorso molto personale dove non c’è niente di eroico. Anna arriva a fare una cosa che la libera da una colpa, in qualche modo la redime, le toglie un peso, le fa vedere la sua corresponsabilità con i crimini altrui, da cui prima pensava di essere autoimmune. Smette di negare, è costretta a dire «io c’ero». Questo le permette di recuperare gesti, di ricrearli, cose lontane, dell’infanzia. E, per amore, appunto, di compiere un gesto folle, irrazionale, coraggioso.
Nel film la realtà è in bianco e nero, i sogni a colori. Perché?
Anna ha un rapporto con i sogni continuo, sia con quella dimensione del day dreaming, del sogno ad occhi aperti, che del sogno nel sonno. Anna è continuamente connessa a questa sorta di vita parallela che appartiene solo a lei e che la guida, la sollecita, la impaurisce…
Che peso ha quella fetta di vita nel sonno? È più importante della realtà del giorno?
Non so se sia più importante, ma decisamente è altrettanto importante della realtà del giorno. Anna è pervasa da immagini e da suoni. Ne è soggiogata, non è un personaggio realistico. Non è un film realistico.
È questo che ti ha attratto del film?
Mi sono aggrappata a questo personaggio, non ho mollato l’osso fino a che non mi hanno sputato fuori dal film. Nonostante tutto, nonostante sapessi di entrare in un bosco buio. Non era un film facile da nessun punto di vista. Ho voluto farlo a tutti costi, anche pentendomene mille volte.
Perché?
Perché per me, ma per nessuno di noi, da Giuseppe alla troupe, fino ai produttori, a tutti noi produttori, tra cui ci siamo anchenoi della Buena onda, che siamo entrati in corsa, con Riccardo (Scamarcio, ndr, il compagno della Golino) e Viola Prestieri, è stato un film facile. Mai. Abbiamo fatto tutto all’arrembaggio, in una situazione quasi sempre disperata. È un film fatto con pochissimi soldi, soprattutto per far fronte all’immaginario clamoroso e barocco di Giuseppe. Avremmo avuto bisogno di più tempo e più mezzi. E anzi, in un mercato normale, sano, Gaudino sarebbe un regista da proteggere, uno da mettere in condizione di poter fare le cose per bene. Non è un film minimalista, questo è certo.
E il festival di Venezia è un’occasione?
Certo che lo è. E intanto è la riprova che non abbiamo sbagliato. Ma è difficile per me essere oggettiva, perché ci sono momenti in questo film di bellezza assoluta. Mi è sembrato quasi di aver creato, insieme agli altri, qualcosa che prima non c’era. Il fatto poi di essere stati selezionati tra tutte le pellicole con questo piccolo film che ci ha tanto appassionato è già un premio. Farlo vedere, poterne parlare, è già un premio. Sono anni che stiamo dietro a questo progetto, e siamo molto contenti di andare a Venezia. Se fossi tiepida nel darti questa risposta, sarei ipocrita. È una grande cosa per noi.
Tu sei figlia di una pittrice greca…
Sono figlia di una greca, che tra le altre cose è anche pittrice. Anzi sono figlia di una ex pittri-
ce greca, perché ora non lo è più.
Come hai vissuto la crisi greca?
L’ho vissuta con grande apprensione, e continuo a viverla con grande disagio e senso di impotenza. Mi spiace anche di non riuscire a capirne veramente la complessità, le responsabilità. Cerco, di volta in volta, di farmi un’idea di quello che accade, ma è difficile.
Il paragone tra il nostro Sud e la Grecia è continuo. Tu li hai vissuti entrambi: somiglianze e differenze tra noi e loro?
Siamo popoli molto simili, abbiamo molte cose in comune, a partire dalla geografia. In comune abbiamo una benedizione, viviamo nel posto più bello del mondo, e poi c’è questa specie di stato d’animo, di pensiero anarchico. Anche se i greci – devo dirlo – hanno un senso della nazione più forte di noi. Molto più forte di noi.
A questo attribuisci il «No» così forte alla Troika?
Sì, sicuramente ha contato un orgoglio nazionale fortissimo che c’è sempre stato e che ora li mette persino a rischio. Con questo volere appartenere all’euro ad ogni costo, si sottopongono a tutta questa storia mortificante degli ultimi anni. Io comincio invece a pensare che dovremmo scappare e vorrei dirgli: «Via, via. Correre, lontano…».
Ti ho sentito dire che sei cresciuta «senza disciplina», tra Napoli e Atene, e che «il giorno più bello è quello in cui si è liberi». Hai sempre rotto tutti gli stereotipi possibili, cosa non semplice in Italia…. è questa la libertà?
Li ho rotti? Ogni volta? Non l’ho mai fatto ap-posta, giuro. Io non mi metto contro per carattere, semmai ho un senso forte di quello che è giusto per me in quel momento e per gli altri che mi sono davanti. Non l’ho mai fatto per provocare, semmai reagisco, alla ricerca del ben-essere mio e altrui, cercando di vivere in una specie di giustezza. Di armonia. Se come dici tu, ho rotto tutti gli stereotipi, vuol dire che spesso gli stereotipi non sono fonte di ben-essere (stacca dolce i due termini).
Hai protetto la tua vita privata e interpretato donne uniche come Grazia in Respiro di Cria-
lese, rischiando ogni volta. Anche con il tuo primo film da regista, Miele, la storia di una ragazza che aiuta a morire malati terminali, hai fatto una scelta coraggiosa, parlare di eutanasia, in una Paese come l’Italia in cui la presenza del cattolicesimo è pesante…
Come no… però anche lì, anche nel caso di Miele, scegliendo di trattare quel tema non l’ho fatto per protesta, non volevo farne una battaglia politica. Volevo che fosse una ricerca, una ricerca con e per, non contro. Non riesco proprio a pensare che le cose che voglio fare e che faccio siano aggressive, trasgressive, non è nella mia natura. Sono docile, io, per natura.
Left è l’acronimo di libertà, eguaglianza, fraternità e la T di trasformazione. Ti va di darmi
una risposta lampo su cosa siano per te?
(Silenzio).
Libertà è?
Libertà è anche non rispondere alle domande
lampo (ride).
No, la libertà per me è un’idea, una dimensione a cui si anela, ma è come l’amore insomma, è difficile da definire.
L’uguaglianza?
È quello che sento in continuazione, ogni passo che faccio, con gli altri. Quello che fa parte della mia vita, continuamente.
La fraternità?
Anche.
La trasformazione?
È necessaria e anche proprio una festa. È una festa, sì (ride. Vorrei che voi poteste sentire l’au-
dio di questa intervista).
Left vuole anche dire Sinistra. Cos’è per te la Sinistra?
Cos’era, forse. La Sinistra cos’era? Forse questa è la domanda? Ora non capisco davvero cosa sia. Siamo tutti lì che ce lo chiediamo, ma adesso secondo me la sinistra non c’è. Aihmé, dico, in questo caso c’è un’uniformità di pensiero, oramai lo stesso, fluido, che si modifica sempre a seconda delle circostanze, degli interlocutori e delle responsabilità. Non riesco più a definire cosa sia sinistra perché non la vedo. Non la vedo più.
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