Da quando si è affollata, la balkan route, la strada percorsa dai profughi attraverso i Balcani, è diventata scenario di detenzioni arbitrarie e respingimenti violenti, gas lacrimogeni e manganellate. Muri e leggi repressive. La frontiera Est d’Europa, è evidente, sta adottando la linea dura. Una linea documentata da Amnesty international in un lungo e dettagliato rapporto, che mette in fila le violazioni dei diritti umani di quello che l’Ong definisce un percorso “certainly not safe”.
Muro dopo muro, è la costruzione di una neoCortina di ferro quella a cui assistiamo. Anche la Croazia nella notte tra il 17 e il 18 settembre, ha di fatto chiuso 7 valichi di frontiera su 8 con la Serbia – eppure il premier Zoran Milanovic aveva rassicurato: «Per ora non impediremo a nessuno di entrare in Croazia ma neanche di uscire dal Paese». Resta aperto alla circolazione un solo valico, quello di Bajakovo. In 48 ore Zagabria ha registrato 13mila ingressi e «non abbiamo le capacità per accoglierne altri», ha reso noto il ministro dell’Interno croato Ranko Ostojic.
Ma Belgrado non ci sta. La Serbia, dal canto suo, annuncia che «se anche la Croazia chiuderà il confine farà istanza alle sedi giudiziarie internazionali». Le parole inequivocabili sono del ministro del lavoro e affari sociali Aleksandar Vulin. Del resto Belgrado si è appena vista costruire un muro lungo il confine con l’Ungheria e adesso vede un’altra barriera con la confinante Croazia. Quello stesso confine che in queste ore è diventato un campo di battaglia: scontri tra la polizia croata e migranti che hanno sfondato i cordoni degli agenti alla stazione di Tovarnik.
I cambi di rotta sono sotto gli occhi di tutti. Anche chi attraversa la porta Est ha come meta finale la Germania, Paese in cui gli arrivi oscillano tra i 6 e i 9mila al giorno. «Quasi tutti provengono dall’Austria, circa 2mila sono arrivati in treno e molti altri dei 7.100 a piedi», ha precisato la polizia tedesca. E questo nonostante i controlli ripristinati tanto in Germania, quanto in Austria e Slovenia.
Proprio la Slovenia, infatti, è il nuovo fronte di transito. Paese membro dell’Ue e dell’area Schengen, a seguito della chiusura delle frontiere sia ungheresi che croate, è proprio la Slovenia adesso a “candidarsi” come tappa obbligatoria per il flusso di migranti. Le autorità slovene hanno già allestito campi per l’accoglienza e il primo ministro Miro Cerar ha annunciato che il Paese «consentirà il transito soltanto a coloro che rispettano i requisiti Ue».
In allarme anche l’Italia. Il Viminale – ha detto il ministro Alfano – è preoccupato perché, date le chiusure di questi giorni, i flussi potrebbero piegare verso i confini italiani. E ha annunciato che potenzierà i posti di polizia alla frontiera nordorientale, soprattutto a Gorizia.
I muri e le barriere in tutto il mondo (dati Economist.com)
L’Ungheria si auto-recinta. Intanto Orban ha già “ordinato” che la barriera di lamette e filo spinato – quello alto 4 metri e lungo 175 chilometri – venga esteso anche al confine croato: altri 41 chilometri. L’Ungheria si blinda, alzando muri tutto intorno a se stessa, perché – sostiene il premier magiaro – «non possiamo aspettarci alcun aiuto dalla Serbia, dalla Croazia o dall’Europa occidentale nell’affrontare la crisi dell’immigrazione».
Le crepe di Schengen. Introdurre controlli alla frontiera significa anche sospendere Schengen (qui trovate un documento della Commissione che spiega il trattato), ovvero lo spazio di libera circolazione all’interno della Ue entrato in vigore il 26 marzo 1995 e oggi valido per 26 Stati membri (Croazia, Cipro, Bulgaria e Romania hanno sottoscritto l’accordo che però non è ancora entrato in vigore). E sono molti i paesi che hanno già agito in tal senso: Germania, Austria, Slovenia, Ungheria. Anche la Bulgaria è in allerta, il governo ha già inviato 50 soldati a presidiare il confine con la Turchia e in queste ore potrebbe inviarne degli altri.
L’ipotesi di sospendere il trattato di Schengen è ormai all’ordine del giorno dell’Ue, nel caso in cui si «presenteranno serie problematiche che costituiscono una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna nell’area Schengen», riporta il testo che circola da settimane tra le mani di ministri e capi di governo della Unione: «Il Consiglio potrà allora raccomandare che uno o più Stati reintroducano i controlli ai confini interni». Anche di questo – oltre che del ricollocamento immediato di 40mila richiedenti asilo e dell’apertura di hotspot e centri di accoglienza cofinanziati dall’Ue – si discuterà al prossimo vertice, fissato per il 23 settembre. Il presidente Donald Tusk ha infatti convocato l’ennesimo vertice straordinario di capi di Stato e di governo.
La terrorizzata Unione europea rischia di rinunciare a un trattato fondante, quello di Schengen. Sarebbe, forse, la prima tangibile sconfitta per l’Unione. Ma il blocco dell’Est rifiuta le politiche di accoglienza e continua a usare il pugno di ferro. Eppure è sui principi di quelle politiche che si è fondato il loro ingresso nell’Unione europea.
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