La foto scioccante del bambino siriano morto sulla spiaggia ci apre gli occhi sul modo disumano e criminale con cui l’ Europa tratta l’emigrazione? Oppure pubblicarla aiuta solo le nostre lacrime di coccodrillo? In molti dicono invece che quella foto scattata sulla spiaggia di Bodrum è come quella della bambina vietnamita che scappava dalle bombe al Napalm, che è diventata un simbolo imperituro della ferocia della guerra americana in Vietnam. E se è vero, come sostiene un fotoreporter come Ferdinando Scianna in Etica e fotogiornalismo (Skira), che non esiste un’etica specifica della fotografia ma esiste un’etica più generale che viene dal rapporto con la realtà dell’altro, è pur vero che situazioni drammatiche che il fotorepoter è chiamato a documentare fanno scattare una ridda di domande su ciò che è lecito o meno, andando alla ricerca dei modi migliori, più efficaci, emotivamente potenti e insieme rispettosi di fare questo mestiere.
Proprio di questo si discuterà alla VI edizione del Festival della Fotografia Etica che prenderà il via il 10 ottobre a Lodi.
Ed Kashi tagliatori di canna da zucchero, Chichigalpa, Nicaragua
Francesco Anselimi, Pattuglia anti immigrati per le strade di Atene
Pablo Ernesto Piovano, Un bambino affetto da Ittiosi, la madre lavorava con gli erbicidi durante la gravidanza, provincia di Misiones, Argentina
Ugo Lucio Borga, Visita del presidente Samba Panza al campo profughi di Saint Paul
Valery Melnikov Civili fuggono dalla loro casa distrutta da un attacco aereo Luhanskaya, Ucraina
Elena Anasova, L’intimo dell’uniforme ha una sola taglia
Nata nel 2010 la kermesse ideata dal Gruppo fotografico progetto immagine invita ad approfondire e discutere in dibattiti, esposizioni e workshop temi che chiedono al repoter una particolare sensibilità e attenzione verso i soggetti fotografati. Spesso si tratta di bambini che giustamente, come avverte la nostra Carta di Treviso, si possono fotografare solo se questo è nel loro interesse, se li aiuta ad uscire da situazioni difficili e che mettono a rischio la loro vita. Più in generale il fotoreporter si trova a che fare con situazioni di guerra o di oppressione che devono essere denunciate e fatte conoscere al grande pubblico ma in modo rispettoso verso chi vi si trova coinvolto. Un caso emblematico è quello che riguarda i migranti, di fatto, truffati e abusati dagli scafisti nel Mediterraneo ma anche violentati dagli obiettivi di fotografi che non ne rispettano la dignità di essere umani e che soffiano sul fuoco dell’allarmismo. Per mostrare come la fotografia in questo caso possa evitare le trappole della retorica e, peggio ancora, del razzismo, Fotografia etica si è affidata a Jocelyn Bain Hogg e a Massimo Sestini rilanciando il suo celebre scatto di un barcone carico di gente ripreso dall’alto; immagine diventata a sua volta un simbolo, in questo caso dell’epos dei migranti.
Un altro filone della rassegna che proseguirà fino al 25 ottobre riguarda la sfera nutrizionale, il cibo e la sua produzione. Sotto il titolo Il cibo che uccide sono riunite quattro mostre che indagano realtà drammatiche, si tratta di Under Cane: A Worker’s Epidemic di Ed Kashi, A Life Apart: The Toll of Obesity di Lisa Krantz, El costo humano de los agrotóxicos di Pablo Ernesto Piovano e Terra Vermelha di Nadia Shira Cohen e Pablo Siqueira. Una sezione della mostra sarà riservata alle Ong presentando i lavori commissionati da alcune organizzazioni non governative ad alcuni fotoreporter di fama o emergenti. Mentre della sezione Uno sguardo sul mondo, faranno parte una serie di mostre importanti, come Tra terra e nuvole – cronache dalla Grecia di Francesco Anselmi, Black Days of Ukraine di Valery Melnikov e Where Love is Illegal di Robin Hammond. Last but not least il premio: The World Report Award Documenting Humanity quest’anno è stato assegnato a Giorgio Piscitelli, Elena Anasova, a Mariano Silletti
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