«La Tav va sabotata». Lui l’ha detto, loro, la società francese Lyon-Turin Ferroviarie (Lft), l’hanno trascinato in Tribunale. Oggi, lunedì 21 settembre, l’amatissimo scrittore Erri De Luca ascolterà la requisitoria dei pm al processo (iniziato il 28 gennaio 2015) in un aula del tribunale di Torino, con l’imputazione d’istigazione a delinquere finalizzata al sabotaggio ai cantieri dell’Alta Velocità in Val di Susa. Rischia da uno a cinque anni di carcere.
«Entra l’autunno e io rientro nell’aula del processo. Ascolterò le richieste penali dei miei accusatori pubblici e di quello privato, della ditta. Saprò quanta prigione per me desiderano ottenere dalla sentenza. Sarà la parte più interessante, per i toni di voce e gli argomenti».
Solito garbo, solita combattività di chi non retrocede da quello in cui crede. Erri lo scrive su facebook, augurandosi che, dopo le rispettive requisitorie, la sentenza sia immediata. Ricordiamo che l’autore partenopeo dal passato di militante di sinistra rivoluzionaria, rifiutò il rito abbreviato perché si sarebbe svolto a porte chiuse. Noi, ci auguriamo che ripristini il senso del limite e delle motivazioni profonde di una protesta che viene dal territorio, che d’ideologico non aveva niente. Il sovversivo, è arrivato dopo. Molto dopo.
A sostegno dello scrittore, era arrivato perfino dal presidente – un altro, quello francese – Hollande, e dalla classe intellettuale – sempre un’altra, sempre quella francese, con un appello in sua difesa. Perché la libertà di espressione, ancorché (e ancor più) se incitazione alla civiltà, non può essere messa alla sbarra.
La sua posizione, la scritta in un pamphlet, La parola contraria, un titolo che già da solo ribadisce con fermezza. Nel quale infatti afferma, per nulla intimorito: «Se la mia opinione è reato, continuerò a commetterlo»
Nell’aula del tribunale di Torino il 28 gennaio 2015 non sarà in discussione la libertà di parola. Quella ossequiosa è sempre libera e gradita. Sarà in discussione la libertà di parola contraria, incriminata per questo. Per questo diritto sto nell’angolo degli imputati. Ho detto le mie convinzioni a un organo di stampa e i pubblici ministeri le hanno fatte rimbalzare su tutti gli altri. Se quelle frasi istigavano, la pubblica accusa le ha divulgate molto di più, ingigantendole e offrendo loro un ascolto di gran lunga maggiore. Quelle parole dette a voce al telefono sono state messe tra virgolette e dichiarate capo d’imputazione. Quelle virgolette attorno alle mie parole sono delle manette. Non posso liberarle da lì, ma quelle manette non hanno il potere di ammutolirle. Posso continuare a ripeterle e da quel mese di settembre 2013 lo sto facendo su carta, all’aria aperta e ovunque. Se la mia opinione è un reato, continuerò a commetterlo.
«La frase – conclude – rientra nel mio diritto di malaugurio». Per parte nostra, esprimiamo il nostro diritto all’augurio, che possa continuare a sabotare le coscienze addormentate, e l’assenza di partecipazione civile.