Ride delle accuse di autoritarismo, si fa beffa di scissioni e minoranze («E anche Varoufakis se lo semo tolti di mezzo»). E si paragona alla squadra giapponese di rugby, numero 13 nel ranking mondiale che sabato scorso nel finale di partita «ha attaccato quando nessuno se lo aspettava» e ha battuto il Sud Africa, terza squadra al mondo, rischiando di perdere nel tentativo di andare in meta piuttosto che accontentarsi del pareggio.
Una esibizione muscolare in piena regola, quella di Matteo Renzi, ieri alla direzione del Pd. La difesa di Buona scuola e Jobs act, la scommessa vinta del 2 per mille versato da 500mila cittadini, l’orgoglio di essere il partito più forte d’Europa. Fino a spingersi in un excursus sul potere delle comunicazione che gli è costato una sintomatica gaffe. Parlando di migranti, il presidente del consiglio ha raccontato della potenza dell’immagine di un bambino morto, di “quel” bambino nonostante ne muoiano centinaia. Subito dopo, ha rivendicato che proprio in virtù del potere della comunicazione il governo ha deciso di recuperare una nave di migranti affondata nel Mediterraneo con i bambini chiusi a chiave nella stiva. Il tutto mentre continuava a rimpiangere di non potersi avvalere di slide e contributi video.
Sulla riforma del Senato, dietro una parvenza di apertura alla minoranza, Renzi afferma di non accettare diktat e poi ne lancia almeno due. Il primo ammonimento è rivolto al presidente del Senato, che non deve ammettere emendamenti all’articolo 2 del testo ma limitarsi allo specifico comma, il 5, approvato in maniera diversa tra i due rami del Parlamento.
Altrimenti – ha detto il premier – «bisognerebbe convocare una riunione comune di Camera e Senato, perché si tratterebbe di un fatto inedito». Salvo poi chiarire che non si riferiva a una sfiducia nei confronti di Pietro Grasso, ma soltanto a una riunione congiunta dei gruppi parlamentari Dem. E che sull’ammissibilità degli emendamenti il presidente del Senato deciderà in autonomia «partendo dal presupposto che per il 15 ottobre questa riforma dovrà essere votata e rimandata alla Camera per la quarta lettura».
Il secondo avvertimento è rivolto alla minoranza del suo partito. «Il partito più forte d’Europa non deve occuparsi di artifici tecnici» ha sottolineato Renzi, chiarendo che «un punto di intesa si può trovare» sul comma 5 dell’articolo 2, applicando il principio del Tatarellum usato nel 1995 per le regionali, per il quale il candidato capolista di un listino bloccato che prendeva più voti diventava presidente dopo che il consiglio ne aveva ratificato la nomina. Ma una cosa dev’essere chiara: «l’elezione diretta dei futuri senatori non può sussistere».
Un’altra metafora sportiva è poi toccata a Jeremy Corbyn, neo-leader del Labour britannico paragonato ai Washington Generals, gli “sparring partner” che hanno collezionato 16mila sconfitte contro gli Harlem Globetrotters. «Non è questione di essere per Blair o anti-Blair, è questione di capire se si vuole andare alle elezioni, come alle Olimpiadi, per vincere o per partecipare» ha ironizzato il presidente del consiglio in direzione. La stampa internazionale (quella italiana molto meno) ha immediatamente evidenziato come sia irrituale che un capo di governo critichi il leader dell’opposizione di un altro Stato con cui poi ha a che fare, a maggior ragione – evidenzia il Financial Times – se entrambi aderiscono al Partito socialista europeo.
Ma per il leader del partito più forte d’Europa questi sono dettagli. A proposito, i giapponesi del rugby che hanno vinto contro i terzi al mondo non erano i più forti, ma tredicesimi. E soprattutto non giocavano contro i più deboli.
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