Lavoro, diritto a riposo e ozio e una concezione della democrazia come partecipazione. Ripubblichiamo la presentazione della collana Ediesse che raccoglie le "Carte di Pietro Ingrao"

Pietro Ingrao incarna in modo esemplare la figura del politico “esistenziale”, capace di collocare ogni problema sociale e politico sullo sfondo dell’esistenza umana. E anche perciò capace di parlare al cuore di ciascuno. Non così Berlinguer, che – occorre pur dirlo in tempi di beatificazione – la mia generazione non ha mai amato: la sua serietà, discrezione e ritegno mi apparivano felicemente antitaliani ma il linguaggio era sclerotizzato, privo di qualsiasi immaginazione, a volte elusivo e perfino fumoso.
Torniamo a Ingrao: c’è un articolo bellissimo, che troviamo in La Tipo e la notte, scritti sul lavoro 1978-1996 (Ediesse) che riassume perfettamente la sua vocazione “esistenziale”. Alla Fiat nel 1994 intendono mettere il terzo notturno (notturno) ma lui lo percepisce come rottura del ritmo vitale. E soprattutto difende la sosta, il diritto all’ozio, l’idea di un tempo che gli orologi non misurano, contro la vita a una sola dimensione: nell’indugiare, nella lentezza inutile c’è infatti qualcosa di necessario e incalcolabile.
La collana “Carte di Pietro Ingrao” della Ediesse, curata da Marisa Luisa Boccia e Alberto Olivetti, si impegna meritoriamente a ripubblicare gli articoli a scritti dispersi di Ingrao, fondamentali per chiunque abbia a cuore il patrimonio ideale della sinistra nel nostro paese. Ora è uscito un altro volume, Crisi e riforma del Parlamento (con un saggio di Luigi Ferrajoli) dove troviamo un prezioso scambio epistolare sulle istituzioni con Norberto Bobbio.

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In particolare si soffermano su un punto decisivo, il concetto di democrazia. Da una parte vorrei mettermi tutto dalla parte di Bobbio. E dunque l’importanza delle procedure, delle regole, e soprattutto il valore centrale del conflitto, della discordia che è dinamismo, contro qualsiasi concezione organicistica (e forse l’intera storia del Pci appare segnata da una ossessione unitaria, da una vocazione alle grandi intese). Dall’altra parte però Ingrao mette l’accento sulla democrazia di massa (o di base), e ci ricorda che non c’è parità reale di voto tra Agnelli e un suo operaio. La tradizione liberal-democratica fa bene a ricordare che il conto dei voti è l’unica verifica di un’egemonia, però resta insensibile alla questione dell’equità e dell’uguaglianza reale tra le persone (un caso clamoroso è stato al riguardo quello del governo Monti).
Dunque occorre secondo Ingrao promuovere la partecipazione, la cittadinanza attiva, l’associazionismo, per rendere effettiva la democrazia e incamminarsi – quasi senza saperlo – per il lungo, travagliato cammino verso il socialismo.