Dall'1 al 4 ottobre, a Faenza, si terrà come di consueto l'appuntamento con la musica indipendente italiana. Left e la rivista musicale ExitWell, aspettano il #nuovoMei2015 con una serie di interviste ai protagonisti di questa edizione. Ecco la chiacchierata con Antonio Gno Sarubbi di Maciste Dischi
Dall'1 al 4 ottobre, a Faenza, si terrà come di consueto l'appuntamento con la musica indipendente italiana. Left e la rivista musicale ExitWell, aspettano il #nuovoMei2015 con una serie di interviste ai protagonisti di questa edizione. Ecco la prima chiacchierata, con Antonio Gno Sarubbi

 

«Le turbolenze derivate da un mercato del disco ormai fatto di piccoli numeri e la difficoltà di emergere in mezzo a un numero estesissimo di realtà più o meno concorrenziali non ci spaventano». Parola di Antonio Gno Sarubbi, classe 1988, label manager di Maciste dischi, l’etichetta milanese nata 11 mesi fa e che oggi conta già 100 concerti, 8 dischi e un’artista a X-Factor, Sara Loreni. Racconta il suo progetto con «incredula felicità», Antonio. E noi gli abbiamo chiesto il segreto di questo successo.

 

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Maciste Dischi è una giovane ma agguerrita etichetta indipendente, “con il cuore sempre in erezione” (come da motto). Com’è nata l’idea di creare la Maciste Dischi e come affronta le turbolenze del panorama musicale contemporaneo?

Siamo un’etichetta discografica che da subito si è voluta configurare come strutturata nei minimi dettagli. Tengo a precisare che oltre me la squadra è composta da Ette, produttore artistico di esperienza, Roberto, persona qualificata che si occupa di distribuzione e contratti, da un ufficio stampa interno e da un editore fidato.

Tra i vostri artisti ci sono anche GaLoni e Jonny Blitz: molto promettenti, validi e tanto diversi tra loro. Cosa vi convince a investire tempo e risorse?

Cerchiamo credibilità, prima di tutto. Non importa il target, non importa il genere. Ogni estetica sonora e ogni genere musicale hanno un pubblico di riferimento, tocca capire di che pubblico si tratta, è un procedimento che avviene col tempo. Un artista “costruito” è un mezzo artista. Partendo da questo presupposto, la seconda cosa che cerchiamo sono “le canzoni”, può sembrare banale ma è così. Avere la consapevolezza di cosa rappresenti la forma canzone è un patrimonio raro. La terza e ultima caratteristica è la fiducia nel team di lavoro, la capacità di lavorare con costanza, capendo la gradualità che un percorso vero, necessariamente, deve avere.

Rimanendo sulla scia della domanda precedente, nell’era del web 2.0, dei new media e di facebook, quale pensi debba essere il ruolo di un’etichetta discografica? In cosa un’etichetta può far davvero la differenza?

Il ruolo di un’etichetta discografica è quello di valorizzare il presente e il potenziale di una band o di un singolo artista. Sovraesponendo ogni traguardo, anche piccolo, sui propri canali. Di pari importanza è gestire il budget di cui l’artista dispone, trovando le soluzioni economiche e strategiche migliori per la produzione e il lancio. Ma non esiste. e non deve esistere, che un’etichetta discografica non investa realmente risorse economiche sul progetto. Farlo è molto rischioso, ma è anche uno dei migliori modi per differenziarsi dalla concorrenza.

Che atteggiamento bisogna avere nei confronti dell’incontenibile fuoriuscita di lavori – spesso amatoriali – da parte dei musicisti emergenti?

Il lo-fi deve essere un punto di partenza utile per farsi conoscere o – a seconda di casi estremi – un punto di arrivo. Ma mai una scorciatoia. Le produzioni amatoriali meriterebbero ambizioni amatoriali, ma questo è un pensiero personalissimo. Vuoi un suono marcio? Vuoi un sound sporco? Vuoi la voce in fondo al mixer e le batterie che sembrano padelle? Se è una scelta artistica bisognerà essere credibili anche in questo. Se è un’esigenza dovuta ad altri fattori, ci si scontrerà con la realtà: il disco, anche se piace al pubblico generalista, non è prodotto bene e sarà un’occasione persa. Beck ha registrato dischi con la batteria a 8 metri dal microfono. Ma quella si chiama ricerca, non superficialità.

Tu sei anche un musicista, ad aprile è uscito l’EP di Le Grandi navi ovali, la tua band. Come procede con Micidiale?

Suoniamo poco e quasi esclusivamente nei periodi di vacanza. Io ho deciso fin da subito, dal punto di vista manageriale, di non occuparmi di nulla all’interno del progetto: date, recensioni e uscite arrivano tutte dall’esterno o le cercano loro. Ci piace essere punk nello spirito, beffardi nei testi, diretti e senza fronzoli nella musica, ma cerchiamo con umiltà di non lasciare nulla al caso o alla banalità.Per il resto, Le Grandi navi ovali rappresenta per me il bello di salire su un palco, la libertà di espressione e la complicità magica che ho con Dave e Davide, gli altri membri della band. Lavoriamo tutti nella musica, anche se in ambiti assai diversi, e abitiamo a 100 km di distanza.

Essere anche un produttore  aiuta un po’ a muoversi, no?

I due mondi si toccano davvero in poche occasioni. Tutto ciò che ho imparato del rapporto artista/manager lo devo comunque al mio cammino artistico. A oggi, però, non ho il tempo materiale di dedicarmici come vorrei, perché Maciste Dischi rappresenta per me un’ossessione onnisciente, fatta di sacrificio e dedizione, quasi maniacale. Stiamo comunque scrivendo un disco e visto il feedback ricevuto ai concerti, nessuno ci impedisce di sussurrare: “chissà”.

Al Mei di Faenza parteciperai a un incontro di discussione dal titolo “Leggere attentamente l’etichetta”. Di cosa si tratta?

Sono davvero orgoglioso che lo storico Mei di Faenza abbia deciso di invitarmi. Discuteremo di come gestire un’etichetta discografica ai giorni nostri, quali sono i ruoli, le responsabilità e i rischi di chi vuole fare questo lavoro in maniera seria, oltre ad analizzare i punti di contatto tra indies e mainstream, tra etichette indipendenti ed etichette major. Personalmente vivrò l’esperienza come uno stimolo importante, per l’imminente futuro.

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