(La copertina di Left è dedicata al sistema dell’informazione negli anni di Renzi. Molte voci di grande esperienza scrivono o parlano con noi. Ecco qualche assaggio, molto piccolo, di quel che trovate nel numero in edicola)
Informazione su misura
L’opinione di Corradino Mineo
Perché il presidente del Consiglio più amato dai media – il consenso di Berlusconi non fu mai così trasversale – ora se la prende con l’informazione, critica i talk show di cui è stato ospite seriale, lascia che suoi collaboratori chiedano la decapitazione dei vertici della Terza Rete? Bianca Berlinguer l’ha chiesto allo stesso Renzi, con risultati deludenti. Per Massimo Giannini il premier ha «sciolto i cani». Scalfari e Diamanti hanno dedicato al tema articoli corposi. Vediamo i fatti.
21 settembre, direzione del Pd, Renzi: «Se i talk show del martedì fanno meno della replica numero 107 di Rambo, dobbiamo riflettere». Scusi ma a lei cosa importa – gli si potrebbe obiettare – se Ballarò e Di martedì non fanno ascolti sarà un problema degli editori! Eh no, il premier si preoccupa: «Ho visto cambiare l’umore dei deputati e dei senatori del Pd – dice – quando sono iniziati i talk show. Il punto vero è che il racconto del paese non può essere quello che va così da dieci anni, con la solita musichina, in cui va tutto male». Allegria! diceva Mike Bongiorno.
Le parole sono diventate proiettili
Ilaria Bonaccorsi intervista Giovanni Minoli
Io sono arrivato a fare una proposta molto provocatoria. Tempo fa Renzi fece un paragone tra Tv e calcio e io risposi: bene esatto, qual è la dinamica economica che c’è dietro ai talk? Io editore ti do visibilità (ai politici), tu mi riempi ore di palinsesto gratis e io ci metto la pubblicità. Io editore ho il mio interesse, e tu politico hai il tuo interesse che derivano dall’essere visibile, questo è lo scambio, che prescinde dall’interesse dello spettatore. Allora dico, se siamo arrivati fin qui, vuol dire che la tv ha vinto definitivamente sulla politica e se ha vinto e la dinamica è la stessa dello spettacolo, allora paghiamo i protagonisti. Come si fa negli show, qualunque attore o cantante lo paghi. Ma se lo paghi deve fare il risultato, altrimenti non lo paghi più.
(…) Non sto parlando del servizio pubblico ma del meccanismo. Peraltro il servizio pubblico è pagato solo per metà dal canone e per l’altra metà dalla pubblicità. La mia è una proposta paradossale: avresti il finanziamento pubblico dai partiti, perché tu editore chiedi al partito chi ti manda e il partito ti manda uno che deve rendere. Ma se “renderà” al partito (consenso), a te editore e a lui stesso, potrà dire di più quello che vuole.
Chi è Giovanni Minoli? È uno degli uomini che hanno rivoluzionato la tv in Italia. Ha ideato programmi di approfondimento politico, come Mixer, e storico, come La storia siamo noi. Oltre che programmi di intrattenimento diventati presto di culto come Quelli della notte con Renzo Arbore o fiction come Un posto al sole, prima soap opera realizzata in Italia.
Matteo non vede, non sente, non parla
L’analisi di Loris Mazzetti
Renzi sta commettendo un grave errore: dopo aver condannato più volte la legge Gasparri, ha deciso di non intervenire sul sistema ma di riformare solo una piccola parte di esso: la governance della Rai.
Un po’ come rifare una casa senza consolidare le fondamenta. Antonello Giacomelli, titolare della delega alle Comunicazioni, è l’autore del ddl. Il sottosegretario allo Sviluppo economico ha lavorato mesi e mesi, incontrando esperti e professionisti del settore, quando gli sarebbe bastato leggere la proposta di riforma dell’associazione MoveOn Italia che raggruppa una buona parte di società civile, o quella del Movimento 5 stelle, oppure ripassare la proposta di legge Gentiloni, o Per un’altra tv, l’iniziativa di legge popolare con prime firmatarie Sabina Guzzanti e Tana de Zulueta. Queste ultime scritte durante il secondo governo Prodi. Tutte sono meglio della sua. Giacomelli, per prima cosa, avrebbe dovuto chiedersi se la sua proposta di legge, approvata in prima seduta al Senato, garantirà l’imparzialità e la completezza dell’informazione, se tutelerà le varie componenti sociali del Paese, in particolare le minoranze. La speranza è che la prossima discussione alla Camera faccia il miracolo di migliorarla.
Tutto merito di un buon suggeritore
Il ritratto del portavoce del premier Filippo Sensi di Luca Sappino
«Not my fuckin’ problem» è lo pseudonimo di Sensi sui social network, per sintesi, Nomfup. Questo è anche il nome del suo blog, che continua ad aggiornare seppur con ritmo molto lento. A giugno ha pubblicato uno speach di David Milliband. A marzo la prima puntata di una serie web prodotta dal governo francese, per raccontare il dietro le quinte del potere. Prima puntata: Le porte-parolat, l’ufficio del portavoce. A Sensi piace perché lui fa la stessa cosa. Porta ogni giorno giornalisti e curiosi dietro le quinte, per esempio con le foto informali pubblicate su Instagram.
[divider] [/divider]
Left n.39 lo trovi in edicola da sabato 10 ottobre
[divider] [/divider]