Anton Kusters di professione fa il fotografo, ma ha avuto la possibilità di frequentare per un certo periodo di tempo una ristretta cerchia della Yakuza, la mafia giapponese, e di documentare il suo viaggio nel mondo del crimine organizzato con una serie di scatti capaci di descriverne la quotidianità. Il tutto senza finire ammazzato.
Anton Kustersdi professione fa il fotografo, ma ha avuto la possibilità di frequentare per un certo periodo di tempo una ristretta cerchia della Yakuza, la mafia giapponese, e di documentare il suo viaggio nel mondo del crimine organizzato con una serie di scatti capaci di descriverne la quotidianità. Il tutto senza finire ammazzato.
Per farcela Kusters ha dovuto negoziare per 10 mesi, assieme al fratello, le condizioni secondo cui gli sarebbe stato permesso di essere i primi e gli unici occidentali a seguire i membri di uno dei clan più importanti della mafia giapponese. Il risultato è stato pubblicato in un libro fotografico che si chiama “Odo Yakuza Tokio”. Quello che si intravede dalle immagini e dalle parole di Kusters è un codice sottile e silenzioso fatto di cenni e di poche parole, soprattutto basato su regole, limiti e su un rispetto tacito per chi comanda.
Ecco come il fotografo descrive una delle scene di cui è stato testimone.
Nel bar dell’hotel a Niigata, inizio lentamente a capire le interazioni estremamente sottili che si ripetono di continuo, il linguaggio del corpo, le micro espressioni sui volti, i gesti le voci, l’intonazione. Quando il bar viene evacuato per fare spazio per permettere al Padrino di prendere un caffè, tutto sembra essere rigorosamente organizzato, ma allo stesso tempo accadere naturalmente. È strano, ma in questo momento non ho bisogno di nessuno per sapere cosa fare, dove sedermi, quando parlare o quando stare zitto. Sento i confini e le aspettative degli altri in modo implicito, imparo quando posso farmi avanti e quando è meglio invece che faccia un passo indietro.
Alcuni membri del clan in posa a Kabukicho, il distretto a luci rosse nel cuore di Shinjuku, Tokyo, in Giappone. Vestendo sempre completi eleganti i membri della Yakuza tentano di diffondere un’immagine di loro curata e ordinata. Ma qualcosa di impercettibile continua a stonare. Si percepiscono nello stile anche alcune influenze dei gangster americani dell’inizio del 20esimo secolo, diventati ormai delle icone, come John Dillinger.
Una giovane prostituta mostra il tatuaggio che ha sulla coscia.
I tra boss più alti in grado della famiglia – il Padrino è quello al centro – posano per una foto durante una cena tradizionale in un ristorante di Kabukicho a Tokyo
La tavola vuota, dopo l’ultimo incontro in cui Kusters ha definito gli accordi con il clan e dato il via al progetto.
Nitto-san, boss di Souichirou, nel retro della sua auto, mentre viene portato alla prigione di Niigata per prelevare due membri della famiglia che sono appena stati rilasciati, dopo anni di carcere.
Un picchiatore di strada della Yakuza mostra uno dei sui tatuaggi nel quartiere di Kabukicho, Shinjuku, Tokyo
Mani tatuate con un dito amputato. Questo è un tatuaggio tradizionale giapponese usato spesso dalla Yakuza. La realizzazione è un processo molto lento e fatto tutto manualmente incidendo e iniettando l’inchiostro nella pelle. L’incisione avviene seguendo un’inclinazione precisa del pennino che dipende da quanto è spessa la pelle e a una precisa velocità. Il risultato è una varietà e un mix di colori che non è replicabile dalle moderne macchine per fare tatuaggi. Il maestro tatuatore Hori Sensei non accetta clienti, per avere un suo tatuaggio bisogna essere invitati da lui che per completare un tattoo tradizionale giapponese può impiegare anche 100 ore e chiedere più di 10,000 dollari per il lavoro. Prima di fare il tatuaggio Hori Sensei programma una serie di incontri in cui dialoga con il “cliente” per capire quale sia il tatuaggio più adatto a lui. I maestri come Hori Sensei sono rimasti pochissimi in Giappone.
Yamamoto Kaicho è il numero due del boss. In questa foto si sta facendo completare un tatuaggio che compre tutto il corpo dal maestro Hori Sensei.
Yamamoto Kaicho e due altri membri della famiglia nelle docce di un Onsen (tipiche terme giapponesi) dopo aver giocato a golf. Sia il golf che visite frequenti alle terme sono attività molto diffuse fra i giapponesi. Oggi giorno molte terme inoltre limitano l’accesso alle persone che hanno tatuaggi nel tentativo di far sì che i membri della Yakuza non le frequentino.
La veduta di un tempio a Asakusa, Tokyo
La veglia prima del funerale di fronte alla bara di Miyamoto-san
Alcuni membri del clan offrono rispetto bruciando dell’incenso presso l’altare allestito per il tradizionale funerale giapponese di Miyamoto-san
Il Padrino arriva al funerale del membro dell’organizzazione. Il traffico è deviato in modo da permettere al Boss di arrivare con le sue guardie del corpo e in macchina alla cerimonia.
Il servizio funerario per Miyamoto-san
Il Padrino lascia la commemorazione dopo aver partecipato al funerale per il membro defunto della famiglia
«Con questo lavoro – ha spiegato il fotografo Anton Kusters – ho trasmesso il complesso rapporto con la società giapponese che intrattengono i membri della Yakuza, e allo stesso tempo il conflitto personale che vivono frequentando allo stesso tempo due mondi diversi, mondi che hanno codici e valori morali in conflitto. Si scopre che la realtà non è semplicemente dipinta dei toni del nero e del bianco, ma fatta di sfumature ben più complesse da leggere»