Oggi, alle 8.30, è iniziato il maxi processo che scuoterà ulteriormente la coscienza dell’Emilia rossa e per bene. Che dovrà ammettere non solo che la ’ndrangheta è cosa nostra, ma soprattutto che è ormai parte della forma mentis e delle dinamiche economiche emiliane tanto quanto di quelle calabresi criminali importate. A Bologna, in un’area bunker d’eccezione appositamente adibita in un padiglione fieristico (il 19) e messa in sicurezza – blindata, per la precisione, tanto da aver generato il reclamo dell’Ordine dei giornalisti -, si aprirà con l’udienza preliminare a porte chiuse, un processo eccezionale. Così tanti gli accusati, gli avvocati e le parti civili da non entrare in nessuna aula del Tribunale.
Sono 219 gli imputati, fra i quali spicca il nome di Nicolino Grande Aracri, boss delle cosche cutresi con una serie di condanne alle spalle e agli arresti – assieme ad altre 160 persone divise fra Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia – dal 28 gennaio di quest’anno, quando con una maxi retata, si concluse l’operazione Aemilia, condotta dalla Dda di Bologna e in coordinamento con le procure di Catanzaro e Brescia. 117 gli arresti in Emilia-Romagna. Una seconda ondata, ne portò in carcere altri 9 e soprattutto un sequestro per 330milioni di euro.
Ma anche il consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, l’ex assessore Pdl del Comune di Parma Giovanni Paolo Bernini, il costruttore di San Felice Augusto Bianchini, la consulente fiscale bolognese Roberta Tattini e il giornalista Marco Gibertini, coinvolgimenti di cui avevamo già parlato Left nello speciale dedicato, Aemilia, le vie della ’ndrangheta.
Un intreccio fra imprenditoria, politica e amministrazione, che mettono in luce una novità tanto specifica quanto assodata: che siano queste a rivolgersi alla criminalità organizzata, usufruendo delle loro facilitazioni, e non tanto o non solo viceversa.
Pesanti i reati contestati: associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Altrettanti, quasi 600 persone, i soggetti costituitisi parte civile: la Regione (che pagherà il conto dell’imponente allestimento, 800mila euro circa), l’Agenzia delle Entrate, e il ministero della Salute; Libera, i sindacati, difesi dall’avvocato Libero Mancuso e perfino la Provincia di Modena e il Comune di Finale, a seguito delle infiltrazioni massicce nella riscostruzione post terremoto del 2012.
Una sfilza di udienze ravvicinate (quasi 30 fino a dicembre), è causata dalla fretta di concludere il processo prima della scadenza dei termini delle misure di custodi cautelare, prevista per fine gennaio prossimo. Questo darà luogo a bizzarre compresenze, in Fiera, come quella con il Motor Show in calendario dal 5 al 13 dicembre. La prossima udienza sarà venerdì, poi si proseguirà a novembre, con un appuntamento il 2, uno il 4 e così via.
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