A colloquio con Massimo Loche, che ci racconta il suo viaggio tra il Vietnam e la Russia brezneviana attraverso la Cina di Mao. Le diffidenze tra regimi e funzionari, le frontiere e i commerci in un libro per viaggiatori contemporanei che vogliono scoprire quel che non vedranno più

Le giornate che scorrono con lentezza, tra le immagini sempre diverse, il menù consunto ma enciclopedico, gli incontri inattesi, il viaggio che Massimo Loche racconta nel suo preziosi Per via di terra in viaggio da Hanoi a Mosca (Voland) offre la possibilità di tuffarsi in un sud est asiatico lontano. (Come quello di Tiziano Terzani ma raccontato senza i suoi toni sapienziali e un po’ mistici). Siamo improvvisamente catapultati nel 1974 . E mentre in Italia avveniva la strage dell’Italicus e si festeggiava il divorzio, mentre in America scoppiava il caso Watergate, da inviato dell’Unità, Massimo Loche raccontava un Paese affascinante come il Vietnam dove erano ancora aperte le ferite dell’occupazione americana. In questo volume Loche ci fa rivivere quei viaggi in treno dal sapore leggendario con la puntualità del cronista e una prosa avvincente.

Abbiamo approfittato della presentazione di questo suo piccolo e prezioso libro al Salone dell’ditoria sociale a Roma per rivolgergli alcune domande.

Per via di terra, in treno da Hanoi a Mosca ha un’impronta fortemente letteraria, pur essendo un libro nato da un’esperienza veramente vissuta, che cosa l’ha ispirato?

Se non suonasse banale direi che il viaggio è stato ispirato dal viaggio stesso. Infatti quando ho deciso di farlo non pensavo che ne sarebbe venuto fuori un libro, volevo semplicemente vivere l’esperienza, soddisfare la mia passione per i viaggi in treno cogliendo un’occasione unica. Non fu facile realizzare il progetto, e questo lo racconto nel libro, ma se fosse stato facile forse il libro non sarebbe nato. Se i miei compagni di viaggio fossero stati tutti muti e scontrosi e non avessi potuto scambiare osservazioni e idee, nemmeno in questo caso il libro sarebbe nato. Invece il viaggio mi dette il materiale necessario per poterne scrivere, ma non ne feci un reportage giornalistico che forse avrebbe “bruciato” la possibilità di far nasce un libro dopo. Passò il tempo e quando, venti anni dopo quell’esperienza, in un periodo di inattività forzata, mi rimisi a scrivere il libro mi venne quasi di getto. Non avevo preso appunti durante il viaggio e scrissi tutto a memoria, questo forse dà al libro una certa aria “letteraria”. O, se vogliamo dirla al contrario, non è un reportage, manca appunto la precisione, il controllo delle fonti e delle affermazioni, il rigore che deve essere proprio del giornalismo. Ma tutto quello che racconto è sostanzialmente vero, almeno nella mia memoria.

Nell’introduzione evochi i reportage di Renata Pisu. La sua esperienza di viaggio da Pecino a Mosca sulla transiberiana ha qualche nesso con la tua?

In realtà i viaggi raccontati da Renata Pisu sono molto diversi dal mio. Certo la linea è la stessa i treni sono ancora quelli vecchi su cui ho viaggiato, ancora più obsoleti, ma qui finiscono i punti comuni. Siamo già in un mondo cambiato la Cina ha iniziato la sua lunga marcia nel capitalismo, l’Urss non esiste più. La transiberiana è veramente un luogo di traffici e di commerci leciti e meno leciti (va detto che anche Tiziano Terzani racconta questo aspetto con grande efficacia). Non è tornata ad essere la transiberiana degli Zar, col vagone sauna, il vagone cappella, il barbiere, con bronzi dorati e legni pregiati. Ma è molto lontana dalla transiberiana dove io ho viaggiato, dove si respiravano tensioni politiche evidenti e pesanti sostituite da tensioni legate al passaggio delle merci, ai sospetti di truffa, alla diffidenza di venditori e compratori. Il frusciare che si sente non è più quello delle pagine del libretto rosso, ma quello dei biglietti di banca.

Hanoi oggi sembra vivere un momento di grande vitalità, all’epoca del tuo viaggio, i bombardamenti americani erano cessati da solo due anni, quella vietnamita è una storia di straordinaria resistenza, agli Usa e prima ancora alla dominazione cinese?

Leggo delle grandi trasformazioni del Vietnam, del diffondersi di una nuova prosperità, ma anche di corruzione e illegalità. Leggo sempre più spesso in tanti prodotti l’etichetta “Made in Vietnam”, sappiamo di eccellenti rapporti tra Vietnam e Usa. Tutte cose assolutamente inimmaginabili allora. Gli americani erano il grande nemico, certo non bombardavano più, ma sostenevano il presidente del Sud Vietnam Nguyen Van Thieu che conduceva la sua guerra contro il Nord Vietnam e contro i combattenti del FNL al sud. I cinesi erano alleati sì, ma la diffidenza si percepiva a voler ben guardare – e nel mio libro ne do qualche indizio – dietro le affermazioni ufficiali di fraternità. Infatti finita la guerra nel 1975 e solo 5 anni dopo il mio viaggio ci fu un conflitto aperto con la Cina e il Vietnam scelse come alleato l’Unione Sovietica. Oggi stanno nascendo nuove tensioni tra Hanoi e Pechino a proposito delle acque territoriali ricche di petrolio. Eppure il modello a cui si è ispirato il Vietnam per il suo sviluppo assomiglia molto a quello cinese a dispetto delle tensioni. Ma non c’è da stupirsi: per secoli il Vietnam si è ispirato alla Cina, ma il “piccolo dragone” non si è mai sottomesso al “grande dragone”. E a ben pensarci anche l’evoluzione dei rapporti con gli Stati Uniti poteva essere prevista: sarebbe bastato prendere sul serio, e non solo come propaganda, la frase di Ho Chi Minh: “il popolo americano è il primo alleato del Vietnam”.

Quando tu misuravi piazza Tien An Men a lunghi passi e cercavi di far capire a gesti al tassista che volevi andare alla città proibita, Pechino era ancora molto lontana dagli sguardi occidentali. Poi ci sarebbe stata la sanguinosa repressione della rivolta giovanile e un aggressivo capitalismo di Stato. E oggi quasi si fatica a cogliere i segni della sua storia millenaria. La rivoluzione culturale che ha ostracizzato la storia antica e poi il capitalismo sfrenato danno l’impressione che la città viva su un vuoto culturale. Cosa ne pensi, è un’impressione sbagliata?

No, non è un’impressione sbagliata, o almeno non del tutto. Posso dire questo: quando tornai a Pechino, molti anni dopo, nel 1996, faticavo a riconoscere la città. La porta e il pezzo di antiche mura che stavano non lontano da Piazza Tien An Men non c’erano più. Non riuscii a ritrovare la stazione delle ferrovie dove ero arrivato e da dove ero partito nel ’74. Ma soprattutto il mare di biciclette, che tanto mi aveva impressionato negli anni Settanta, era stato sostituito da un mostruoso maleodorante stuolo di automobili e camion. Per ritrovare qualcosa di antico mi dovetti spingere fino agli splendidi templi del Cielo e della Terra. Non so cosa sia successo oggi. I cinesi in certi casi hanno riaperto e restaurato antichi templi, o con molta disinvoltura ricostruito monumenti antichi, lo sviluppo del turismo dovrebbe agire in controtendenza alla distruzione del patrimonio storico enorme e splendido della Cina.

Anche per questo hai deciso di pubblicare con Voland Per via di terra?

Sì proprio perché può aiutare a ricordare la storia di quei paesi, a suggerire a chi oggi va facilmente come turista a Pechino o Hanoi, o percorre la transiberiana nei moderni treni russi o cinesi come tutto ciò poteva essere diverso solo quarant’anni fa. Mi piace l’idea che in qualche modo posso aiutare il viaggiatore di oggi a vedere con gli occhi della fantasia il muro di biciclette inforcate da uomini e donne tutti in tuta blu mentre fermi a un semaforo si osserva il rutilante spettacolo di auto cromate e scoppiettanti guidate da signori e signore vestiti in tutti i modi e colori.

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