(Questo articolo è stato pubblicato sul numero 27 di Left)
(KOBANE) Il 28 giugno, Seifeddine Rezgui (23 anni) spara all’impazzata sulla spiaggia del resort di lusso Imperial Marhaba, a Sousse, Tunisia. Il bilancio è di 38 morti e quasi altrettanti feriti, in gran parte turisti occidentali. Ma c’è un particolare: l’autopsia sul corpo del terrorista, rivela che l’uomo era sotto l’effetto di Captagon, un derivato dell’anfetamina che lo Stato Islamico produce da tempo per sommistrarlo ai propri guerriglieri. Il motivo è molto semplice: elimina la paura e la stanchezza. Lo psichiatra Ramzi Haddad, coordinatore e co-fondatore della Skoun, un’organizzazione no profit che ha aperto la prima struttura libanese dedicata alla prevenzione e al trattamento delle dipendenze patologiche, ha spiegato all’agenzia di stampa Reuters che questa droga crea «una sorta di euforia», ma soprattutto «non fa dormire, non fa mangiare, dà energia».
Facciamo un passo indietro. Il 2014 è appena iniziato quando il Daesh, meglio noto in Occidente come Stato islamico (Is), conquista Aleppo. Dallo scoppio della guerra civile siriana sono passati tre anni. I ribelli sono in grande difficoltà, mentre le offensive del regime di Assad diventano sempre più brutali e incisive. I miliziani in nero, viceversa ben organizzati, motivati e come vedremo drogati, colgono la palla al balzo, approfittandone. Nella seconda città più importante della Siria, i jihadisti conquistano così, nel gennaio 2014, anche un’importante fabbrica farmaceutica del regime. Si trova nella zona nord-ovest ed è grazie a questo stabilimento che il Daesh inizia a produrre autonomamente, e su larga scala, droghe chimiche. Il problema non è nuovo. Il binomio tra conflitti e stupefacenti è vecchio quasi come la guerra stessa. Non si tratta soltanto di narcotraffico ma della somministrazione di sostanze psicotrope ai combattenti. A fornirle, un’organizzazione come il Daesh, che nei territori sotto il proprio controllo vieta ai cittadini persino l’uso di alcol e tabacco. Figuriamoci quello di droghe, il cui consumo infrange dottrina e principi dell’islam.
«Non ho mai trovato un movimento insurrezionale che non si sia finanziato con la droga. È una delle ragioni che li tiene in vita»
Antonio Costa, direttore dell’Ufficio antidroga Onu
Alcuni mufti salafiti e wahabiti (giurisperiti musulmani) hanno dovuto rilasciare delle apposite fatwa (decreti religiosi assimilati alle nostre leggi), nelle quali dichiarano halal (lecito) l’uso di sostanze narcotiche, a patto che il loro uso serva esclusivamente per avere maggior coraggio in battaglia. Un’autorizzazione che sembra tuttavia in netto contrasto con la sharia: la legge islamica derivante dalla più rigida interpretazione del Corano, imposta alle popolazioni dei territori sotto il controllo dei jihadisti e insegnata persino ai bambini. Su internet si trovano cartoni animati nei quali viene spiegato, a scanso di equivoci, che tabacco, droghe e alcol sono vietati. Pena, il taglio delle mani e, nei casi più gravi, della testa. Ma i divieti imposti dalla sharia, valgono soltanto per i normali cittadini. I video del Daesh, mostrano la brutale punizione dei trasgressori. In uno di questi, tossicodipendenti arrestati dalla polizia religiosa vengono frustati e decapitati nella pubblica piazza. La repressione risparmia però miliziani e combattenti. Ai quali verrebbe fornita soprattutto metanfetamina, comunemente nota come Meth, ritenuta uno degli stimolanti più forti e pericolosi al mondo. Simile all’anfetamina è relativamente facile da sintetizzare, oltre ad avere una maggiore attività centrale. Molto diffusa negli Usa e in alcune nazioni dell’Asia, aumenta la capacità di rimanere svegli e riduce l’appetito, dando una sensazione di piacere. L’uso a lungo termine, provoca però comportamenti violenti, allucinazioni, ansia, confusione, insonnia, paranoia e disturbi della personalità. Un mix di sintomi che può di conseguenza favorire in guerra atti brutali e selvaggi.
Negli ultimi due anni, grazie allo stabilimento farmaceutico preso ad Aleppo, il Daesh ha iniziato inoltre a sintetizzare il Captagon, la già citata anfetamina a base di Phenethylinne della strage di Sousse. Anche questa relativamente semplice da produrre con conoscenze chimiche di base, è diventata l’arma principale dei jihadisti in tutto il Medio Oriente. Poiché provoca euforia, eliminando il dolore. Ad Aleppo i jihadisti hanno trovato attrezzature e componenti per produrre del Captagon, di ottima qualità. Vietato nella maggior parte delle nazioni del mondo già dal lontano 1980, fino agli anni Sessanta veniva utilizzato in Occidente come antidepressivo o per il trattamento del disturbo da deficit di attenzione, contro l’iperattività o la narcolessia.
I primi a produrlo su larga scala, fin dal 2006, per finanziare la propria “guerra Santa” sono stati gli uomini dell’organizzazione Hezbollah (il Partito di Dio), gruppo fondamentalista sciita attivo nel Libano del Sud, sceso in campo nella guerra civile siriana al fianco del dittatore Bashar al-Assad. L’anno scorso, laboratori per sintetizzarlo sono stati scoperti in diverse moschee di Baalbeck e nella valle della Bekaa. Col risultato che, secondo l’Ufficio contro la droga e il crimine delle Nazioni Unite (l’Unodc), soltanto nel 2009 ne sono state sequestrate in Medio Oriente 23,6 tonnellate. Risale invece ai primi mesi del 2014, il primo sequestro a opera dei ribelli dell’Esercito libero siriano (Esl): un camion cisterna del Daesh pieno di pillole di questa anfetamina. Una parte del carico, a loro dire, era destinato proprio al Libano, da dove sarebbe poi stato diffuso in tutta la regione del Golfo. Segno che, come per il petrolio rivenduto dai jihadisti in nero al regime di Assad, anche la droga potrebbero cederla a dei nemici, in questo caso Hezbollah. Un business che vale centinaia di milioni di dollari l’anno. Soltanto nel 2014, l’Internal security forces (Isf) ha sequestrato nel Paese dei cedri 55 milioni di pillole, rispetto alle 12,3 dell’anno precedente e alle appena mezzo milione del 2013. Prima dello scoppio della guerra civile siriana e della comparsa sul terreno del Daesh, non erano mai avvenute confische di questa portata. «Il loro coinvolgimento ormai è comprovato», conferma a Left Antonio Maria Costa, direttore dal 2002 al 2010 del già citato Unodc. «Nella mia vita professionale alla guida dell’Ufficio droga e crimine delle Nazioni Unite, non ho mai trovato un movimento insurrezionale che non si sia finanziato con la droga. Da Sendero Luminoso in Perù all’Ira in Irlanda del Nord, passando naturalmente per Hezbollah in Libano e le Farc colombiane, la droga è una delle ragioni che li tiene in vita. Si tratta quindi di una minaccia concreta». All’ideologia data dal ripristino dell’antico Califfato medievale, come nuova casa di tutti i musulmani, si sono poi sommate le anfetamine. «Queste droghe hanno trasformato i mujaheddin in maniaci paranoici ma con una grande capacità di resistenza, che si sentono invincibili e non provano nessuna paura o empatia, meno che mai dolore fisico o morale per le brutali azioni compiute», spiega un’analista militare che ci chiede di restare anonimo. Sarà anche per questo, come dimostrano i video da loro stessi diffusi in rete, che possono commettere ogni sorta di atrocità senza mostrare alcuna pietà, addirittura ridendo. Un giovane prigioniero jihadista, il 23enne Amir Ahmed Ali, rivela a Left: «Prima della battaglia per conquistare Aleppo, abbiamo preso delle pillole che hanno completamente cambiato la nostra percezione di quello che stava succedendo. Pensavo che i carri armati fossero uccelli che si potevano annientare con la spada». A suo dire, queste compresse vengono date anche ai kamikaze. Invece di aumentare la resistenza e il coraggio, queste droghe hanno però nel tempo creato un esercito di zombie tossicodipendenti che stanno commettendo atti brutali e feroci in nome dell’islam. Non sarà di certo un caso se in Siria le segnalazioni di questi macabri episodi sono arrivate di pari passo con la produzione su larga scala di metanfetamine. Nel maggio 2013 è apparsa su internet una foto che mostrava un jihadista grigliare su un barbecue la testa decapitata del pilota di un elicottero governativo siriano. Lo stesso mese un altro miliziano tagliava e mangiava il cuore di un soldato di Assad, pronunciando queste parole: «Giuro su Dio che mangeremo i vostri cuori, soldati di Bashar, o li daremo ai cani. Dio è grande! (Allahu Akbar)». Effettivamente, poco dopo, diversi racconti denunciavano di cadaveri nemici dati in pasto ai cani. Quando ad aprile 2014, i jihadisti hanno conquistato il carcere siriano di Daraa, due soldati detenuti sono stati decapitati e la loro testa è stata fatta bollire in una pentola.
«Prima della battaglia di Aleppo abbiamo preso delle pillole. Pensavo che i carri armati fossero uccelli che si potevano annientare con la spada»
La dichiarazione di un giovane jihadista a Left
Ci sono poi stati i genocidi di cristiani, e a Mosul (terza città irachena), persino i bambini sono stati decapitati e le loro teste appese in un parco, come già avevano fatto prima di loro i talebani in Afghanistan. Per non parlare di crocifissioni, stupri ed esecuzioni di massa, oppure dei selfie nei quali le teste diventavano trofei o addirittura palle con le quali giocare. Difficile determinare se queste barbarie siano il risultato degli effetti collaterali di queste anfetamine, che insieme con hashish, eroina e cocaina, sono diventate la razione base dei miliziani. Al termine dell’assedio della città siriana di Kobane (26 gennaio 2015), i peshmerga curdi hanno rinvenuto nel quartier generale dell’emiro del Daesh, Abu Zahra, un sacco pieno di cocaina purissima, sostanza molto rara e costosa in Medio Oriente. Il comandante dei jihadisti l’aveva fornita ai suoi miliziani negli ultimi giorni, quando erano ormai vicini alla sconfitta, nell’estremo tentativo di resistere. Del resto non è un mistero che il Daesh recluta i suoi combattenti nei quartieri più poveri e problematici delle città. Il profilo tipo, secondo le agenzie di intelligence, sono ragazzi a basso reddito, con problemi familiari o orfani, di età compresa tra 18 e 25 anni, facili da manipolare perché alla ricerca di un senso da dare alla propria vita. Spesso si tratta di teppisti o ex detenuti, alla ricerca di piaceri forti e immediati, che fanno questo biglietto di sola di andata, accecati dal miraggio del Califfato, per il quale perdono la ragione se non addirittura la vita.