Il primo concorso in 20 anni. Ma nella legge di stabilità si consente l'accesso a chiunque abbia una laurea triennale. Contrario il parere del Consiglio superiore dei Beni culturali: posizioni che richiedono competenze specifiche e c'è un bacino di persone qualificate a spasso

«E’ inaccettabile che basti il primo livello di formazione, quello della laurea triennale, per partecipare ai concorsi per 500 posti di funzionari tecnico-scientifici del ministero», dichiara Giuliano Volpe presidente del Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici, commentando l’emendamento alla legge di stabilità passato al Senato (ora in discussione alla Camera) che chiede la laurea triennale agli aspiranti nuovi assunti del Ministero dei beni culturali e del turismo (Mibact). Dopo il parere negativo del Consiglio che in una mozione ha stigmatizzato “il chiaro sapore demagogico» della decisione «evidentemente assunta in maniera leggera e frettolosa», anche l‘Associazione nazionale archeologi e la Consulta universitaria nazionale per la storia dell’arte hanno espresso «viva contrarietà all’emendamento alla Legge di Stabilità approvato lo scorso 13 novembre», sottolineando l’importanza delle competenze specialistiche e qualificate dei funzionari pubblici.
«Il lavoro nell’ambito della tutela richieste competenze specifiche, che non possono essere garantite dal primo livello di studi universitari, che come sappiamo è un livello molto di base», spiega il presidente Volpe, archeologo e docente dell’Università di Foggia. «Riteniamo necessario salvaguardare chi ha fatto tanti sacrifici personali per studiare, magari anche andando a lavorare all’estero, acquisendo molte specializzazioni, dalla laurea magistrale, alle specializzazioni ai dottorati». In campo non c’è soltanto la questione della «salvaguardia di una professione e di un percorso di studi», ma anche, prosegue il professore “la preoccupazione di avere personale adeguato alle sfida che dobbiamo affrontare con la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio. Abbiamo affrontato da poco la questione del silenzio assenso introdotto dalla legge Madia che richiede una risposta entro 90 giorni, a maggior ragione serve personale molto qualificato per poter dare in modo efficiente risposte competenti e valide. Serve personale qualificato. E ci vuole una formazione adeguata. Questo è irrinunciabile”.

Il governo ha risposto alla mozione del Consiglio superiore dei beni culturali?
Il ministro Dario Franceschini e il sotto segretario Ilaria Borletti Buitoni, devo dire, si sono immediatamente attivati. Per altro ho avuto notizia, di un “contro emendamento” o per meglio dire di un emendamento che porterebbe al superamento di questo approvato dal Senato in commissione Bilancio. Sarà presentato dalla presidente della commissione cultura della Camera.

Il nuovo bando per 500 posti interrompe l’annoso blocco delle assunzioni?

E’ una conquista, avere finalmente nuovi posti. Dopo anni e anni di blocco delle assunzioni. L’ultimo concorso è stato fatto dieci anni fa ed erano numeri ben più ridotti rispetto ai 500 posti di cui si parla oggi. Bisogna andare a venti anni fa per trovare un’apertura di questa entità. I futuri assunti andranno a coprire i vuoti attualmente presenti nell’organico. Bisogna considerare che stanno per andare in pensione numerosissimi funzionari che furono assunti tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. In questo caso,come ho anche scritto, l’emendamento che prevede la laurea triennale diventerebbe un boomerang pericoloso con il rischio di non riuscire ad avere alti livelli di competenza. Senza contare che visto il numero grandissimo di partecipanti ai concorsi per 500 posti avremmo tempi lunghissimi e costi aggiuntivi per la pubblica amministrazione. Non solo per la gestione della fase concorsuale. Ma anche dopo. Una volta assunte, lo Stato dovrebbe spendere per formare adeguatamente queste persone. Toccherebbe al ministero fare una formazione ad hoc. E tutto questo quando ci sono migliaia di ragazzi e ragazze che sono già adeguatamente formati e non hanno un posto di lavoro.

Con la riforma Gelmini la storia dell’arte non si studia più nelle scuole. Accade in tantissimi istituti in Italia. Lei ha scritto un libro per Electa intitolato Patrimonio al futuro, non pensa che sia un insegnamento da reinserire?
In realtà la storia dell’arte nelle scuole tornerà nelle scuole, in forme nuove. Io penso che non dobbiamo pensare al suo insegnamento solo in maniera tradizionale. La storia dell’arte va intesa come educazione al patrimonio culturale in senso più globale. Da questo punto di vista c’è già stato un accordo fra i due ministeri, il Mibact e il Miur, per avviare dei piani di educazione al patrimonio. Quest’anno per la prima volta è stato presentato un piano di educazione al patrimonio. Lo abbiamo discusso all’ultima riunione del Consiglio. Detto questo, è evidente che la formazione deve partire fin dai primi anni scolastici ed essere presente in tutto il percorso di studi, se vogliamo avere dei cittadini consapevoli. In questo senso l’insegnamento della storia dell’arte – e più globalmente – del patrimonio culturale è una priorità assoluta. @simonamaggiorel