Oggi a Roma presentato il rapporto sullo sfruttamento del lavoro nei campi d'Italia. Ne parliamo su Left e aderiamo alla campagna di sindacati e società civile

Oggi a Roma verrà presentato il report di #FilieraSporca. L’occasione, la mostra “Bitter Oranges”, esposizione che documenta le condizioni di vita e di lavoro dei migranti impiegati come forza lavoro in molti degli agrumeti del Sud Italia.

Left, ha dedicato il suo servizio di copertina del numero in edicola da domani (e da oggi nella versione pdf – link) proprio al caporalato femminile: un mondo in cui lo sfruttamento raddoppia. Queste Schiave d’Italia, infatti, oltre a subire condizioni di lavoro al limite della sopravvivenza e paghe prossime allo schiavismo, sono inoltre vittime di ricatti e violenze sessuali. Tre di queste donne, hanno accettato di raccontarsi in esclusiva sulle nostre pagine.

Il dramma del caporalato, come il report dimostra chiaramente, è inserito in una catena che ci riguarda molto da vicino: ovvero la filiera di produzione di prodotti agricoli da noi consumati. Sappiamo se le aziende di cui scegliamo i prodotti (dal vino, alla frutta, all’olio) usufruiscono di questo reclutamento umanamente umiliante?

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Che il fenomeno sia strutturale – come abbiamo cercato di indagare nel nostro servizio parlandone con imprenditori virtuosi, addetti del settore, e perfino col ministro delle Politiche agricole Maurizio Martino – in maniera inevitabile, non lo crediamo. Così come non devono crederlo le associazioni Terra!Onlus, daSudTerrelibere.org, promotrici della campagna #FileraSporca (alla quale hanno aderito, tra gli altri, Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Emergency, Medu e Flai Cgil), che nel nome contiene la sua battaglia principale: la trasparenza dell’intera filiera. Ovvero, la tracciabilità di ciascun passaggio compiuto dai diversi soggetti coinvolto nella produzione ortofrutticola.
Tre le richieste principali della campagna, elaborate a seguito di una ricostruzione accurata dei passaggi della filiera nei quali possono annidarsi le cause dello sfruttamento: un’etichetta narrante che metta in condizioni i cittadini di essere consapevoli di ciò che acquistano; un elenco pubblico e consultabile dei fornitori dell’azienda intera filiera; la responsabilità solidale delle imprese che devono rispondere in solido nei casi di sfruttamento e caporalato. Cosa, quest’ultima, approvata alla Camera l’11 novembre scorso, assieme alla riforma del Codice antimafia (Legge 1138, d’iniziativa popolare: “Misure per favorire l’emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”. Segui l’iter parlamentare), e che abbiamo ampiamente illustrato qui (di nuovo link al numero).

E voi, siete sicuri di non partecipare in nessun modo a questi moderni campi di cotone?

 


 

Continua sul numero 46 di Left in edicola dal 28 novembre

 

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Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.